sabato 22 marzo 2014

Sgranocchiando popcorn: "Hysteria"

Storia di un'invenzione o commediola in salsa di corsetti e crinoline?

Cari lettori, oggi apriamo lo spazio dedicato ai film con una riflessione su una pellicola del 2011 ambientata in un'epoca di cui spero (se amate la storia) e temo (se la detestate) che sentirete parlare ancora: l'Ottocento della regina Vittoria, o più precisamente, in questo caso, l'anno di grazia 1880.
Si tratta di Hysteria, per la regia di Tanya Wexler, una commedia che ha per pretesto l'invenzione del vibratore.
Un pretesto e non di più, perché se un tale argomento avrebbe potuto dar luogo al peggior trash che avessi mai avuto la malasorte di vedere, in questo film gli aspetti scabrosi si trattano ancora con una certa classe, pur non senza le sue brave cadute di stile.
Il giovane medico Mortimer Granville (Hugh Dancy), che tira avanti grazie all'aiuto della famiglia del facoltoso amico Edmund St. John-Smythe (un Rupert Everett dal look irriconoscibile per me che l'avevo in precedenza visto soltanto nei panni di un Oberon ben sbarbato in Sogno di una notte di mezza estate del 1993), viene licenziato senza troppe cerimonie dall'ospedale in cui lavora per aver sostenuto teorie più moderne di quelle in cui crede il suo superiore e, dopo una spettacolare serie di fallimenti, riesce a farsi assumere come assistente nello studio privato del dottor Robert Dalrymple (Jonathan Pryce), esperto di isteria e fervente sostenitore della terapia a base di massaggi capaci di indurre nelle pazienti dei “parossismi” (leggasi: orgasmi). Ben presto viene introdotto il resto della famiglia, composto dalle due figlie di Dalrymple, Emily e Charlotte (rispettivamente Felicity Jones e Maggie Gyllenhaal): l'una un angelo del focolare apparentemente perfetto, per cui Mortimer ha un'infatuazione istantanea seguita ad un primo incontro ad altissima densità di doppi sensi (vogliamo parlare del test improvvisato di frenologia? Testuali parole: «Il suo trombo è così rigido, sporgente e protuberante che mi ha fatta trasalire». Ditemi voi se non è un frullato di sottintesi), l'altra un ciclone di energia che il padre tratta più come una paziente che come una figlia, tanto che all'inizio si può intuire la parentela solo dal fatto che la chiami per nome. Ben lungi dall'essere un'isterica come tante altre, invece, Charlotte è una donna generosa dalle idee troppo progressiste per essere accettate sulla condizione del proprio sesso.
Le due vengono contrapposte su tutta la linea in modo fin troppo visibile dal primo minuto in scena, come se non fosse già stato un meccanismo abbastanza ovvio, tanto per gradire, dar loro gli stessi nomi di battesimo di altre due sorelle famose, Emily e Charlotte Brontë: sarebbe anche uno schema apprezzabile, che forse ha reminiscenze classiche (penso ad Antigone e Ismene), se non fosse così trasparente.
Per sentirsi utile, Charlotte dirige una casa per i poveri nell'East End di Londra, dove ha fatto e continua a fare conoscenze discutibili, quali Fanny, una donna in perenne pericolo di sfratto che le dà una mano nella gestione, e l'ex prostituta Molly, che ha salvato dalle strade convincendo il padre ad assumerla come cameriera: una storia secondaria drammatica dalle grandissime potenzialità andata tristemente sprecata in nome del mantenimento di un tono per lo più leggero. Scelta azzeccata, volendo restare nel tracciato del genere commedia, ma che non giustifica del tutto il fatto che Molly diventi un personaggio-macchietta che usa un tono di voce sensuale anche quando c'entra come i cavoli a merenda, facendo suonare qualsiasi cosa dica come un'allusione spinta. Perfino l'innocente consiglio di mettere un po' di salsa sul pesce in bocca a lei pare l'offerta di servizi di un certo tipo! Ricordare il suo passato è un conto, ma così è troppo.
I soldi per l'opera di carità non bastano mai: il sogno di Charlotte sarebbe di avere duemila sterline per comprare i due edifici adiacenti, ma deve impegnare un paio di orecchini della defunta madre anche solo per averne duecento. Attraverso tutta una serie di situazioni, inclusa una scontatissima scena di scontro in cui le mani di Mortimer sembrano viaggiare da sé in direzione del seno di lei, comincia a chiarirsi quale delle due sorelle gli piaccia davvero, anche se ancora non lo ammette.
Intanto, il rapporto di lavoro che sembrava andare alla grande, tanto che – un po' per autoconvincimento, un po' per le spintarelle del dottore – Mortimer chiede a Emily di sposarlo con quella che dev'essere la proposta più fredda e inautentica della storia del cinema, smette di essere così idilliaco quando il nostro protagonista, talmente sfiancato dai massaggi da avere i crampi, spaventa una paziente toccandola (mi aspetto i brividi da parte femminile e magari, per empatia, pure da parte maschile) con una mano che aveva appena immerso in acqua ghiacciata per cercare sollievo. L'imbarazzo sale alle stelle e Mortimer, temporaneamente, viene cacciato dallo studio, ma la soluzione cade dal cielo nella forma di una delle strambe invenzioni di Edmund, che ha una smodata passione per qualsiasi oggetto in cui scorra questa sconosciuta, l'elettricità. Provando oziosamente un piumino per la polvere ad alta (per allora) tecnologia, Mortimer riscontra un immediato miglioramento dei suoi crampi grazie alla vibrazione dello strumento e, modifica tu che modifico anch'io, il piumino viene spennato come un pollo e diventa il primo esemplare al mondo di... parossismatore? Massaggiatore elettrico? Ululatore, vista la reazione di Molly in qualità di cavia numero uno? Le proposte strane per il nome non si contano.
Rassicurato dalle testimonianze dei due amici, Dalrymple acconsente a provarlo sulla paziente precedentemente insoddisfatta, una cantante lirica spagnola che, assurdamente ma non troppo, reagisce gorgheggiando a gola spiegata un'aria de La traviata.
Gaudio e tripudio! Granville e Dalrymple sono ancora soci, gli appuntamenti s'infittiscono, e soprattutto questo matrimonio s'ha (di nuovo) da fare!
Peccato che la sfarzosa festa di fidanzamento a casa di Edmund venga interrotta dall'irruzione di Fanny, sanguinante e seguita da due agenti di polizia: era stata catturata e ferita per non aver potuto restituire le duecento sterline con gli interessi.
Si scatena un putiferio durante il quale Charlotte colpisce un poliziotto; si fissa la data del suo processo e pare che l'unico modo per salvare il buon nome della famiglia sia di dichiararla isterica e farla internare. A tale scopo, Dalrymple chiede a Mortimer di testimoniare in qualità di esperto in materia, ma – con sorpresa di tutti tranne che del pubblico del film – il nostro protagonista arriva al tribunale in ritardo, tutto trafelato, e si pronuncia ormai convinto che l'isteria non esista, ripetendo testuali parole l'opinione che la sua amata aveva espresso poco tempo prima alla festa. Vi lascio immaginare la conclusione. Un indizio? Allarme spoiler: almeno è scongiurato il manicomio.
Nel frattempo, le rotelline nel cervello dell'amico inventore hanno continuato a girare e il magico strumento, diventato portatile, viene venduto direttamente alle donne, “per uso domestico!”, si dice in tono incredulo. Questo significa ulteriori profitti, che Mortimer prevedibilmente consegna a Charlotte insieme a tutta una serie di altri simpatici regalini: una pelliccia che contiene nella tasca interna gli orecchini ormai ricomprati e una proposta di matrimonio come si deve, coronata da un bacio.
Piuttosto divertente il finale in cui si mostra il nome commerciale definitivo dell'altrimenti innominabile gingillo, “Jolly Molly”, e tutto un montaggio di pudiche donne vittoriane che prima di azionarlo si guardano accuratamente in giro e/o chiudono pesanti tendaggi. Come ultimo colpo di coda, s'insinua che possa usarlo perfino la regina Vittoria in persona, nel segreto di Buckingham Palace: quanto sia storicamente accurata la cosa, non lo so, ma se consideriamo che si sussurrava che, lungi dal mantenere il lutto strettissimo fin dal lontano 1861, avesse di che trastullarsi tra i suoi servi preferiti...
A proposito di credibilità, alcuni particolari sparsi per gli appassionati del genere. La bicicletta di Charlotte è promossa per il rotto della cuffia: ha le ruote di dimensioni uguali, e da quel che ho capito il famigerato velocipede, con quella sproporzione che tutti abbiamo in mente, in quegli anni era già tramontato, ma non da molto. Pollici in su anche per la discussione tra Granville e il suo superiore che, entro i limiti della mia conoscenza della medicina ottocentesca, mi è parsa attendibile, e per la menzione delle pillole Beekman come rimedio universale in realtà ben poco efficace: ho scoperto da poco che esistevano davvero.
I costumi stavolta sono quasi tutti ben realizzati. La scelta delle forme e dei colori è di solito inappuntabile, con una buona resa delle differenze tra gli strati sociali, cravatte a pois che pare fossero molto indossate all'epoca, tournure ridicolmente (e correttamente) gonfie sui delicati posteriori delle ragazze e un Dancy a cui il cappello a cilindro dona parecchio (pardon, per me col cilindro sta bene qualunque essere dotato di cromosoma Y, non posso farci niente). Disgustoso ma accurato il dettaglio iniziale sui piedi del gran dottore che, con le scarpe tirate a lucido protette da immacolate soprascarpe, negli ultimi passi che lo separano dall'ospedale raccoglie il poco simpatico ricordino di un cane e alcune foglie secche, per poi ripulirsi sommariamente prima di entrare con uno sfregamento appena sufficiente a staccarle.
Bocciato, bocciatissimo, il look delle due sorelle alla festa di fidanzamento. Charlotte indossa un abito talmente diverso da quello di tutte le altre che anche un occhio inesperto si accorgerebbe che non è storicamente credibile: senza spalline, con una gran bella visuale sulla schiena della Gyllenhaal e di una forma che senza dubbio valorizza il suo corpo, ma getta tutta la grande attenzione messa fino ad allora dai costumisti... diciamo giù da un dirupo, per essere fini. Emily, d'altro canto, sarà pure attendibile dalla testa ai piedi, ma su quella testa ha una tale impalcatura di capelli da diventare una parodia di se stessa. Chiaramente questo non è altro che un espediente per mettere in risalto Charlotte e far restare nell'ombra la protagonista solo teorica dell'evento, come se non l'avessimo già capito dall'equivoco dei St. John-Smythe senior che scambiano Charlotte per la fidanzata.
Insomma: un tema pruriginoso affrontato con (abbastanza) stile, un quadro intelligente della condizione femminile nell'Ottocento e oltre, ma anche una commedia senza la minima sorpresa, con schemi narrativi talmente lapalissiani da far ridere involontariamente. Buono per passare cento minuti tondi tondi gradevoli, ma non di più.
Valutazione complessiva:

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