Storia di un'invenzione o commediola in salsa di corsetti e crinoline?
Cari lettori, oggi apriamo lo
spazio dedicato ai film con una riflessione su una pellicola del 2011
ambientata in un'epoca di cui spero (se amate la storia) e temo (se
la detestate) che sentirete parlare ancora: l'Ottocento della regina
Vittoria, o più precisamente, in questo caso, l'anno di grazia 1880.
Si tratta di Hysteria,
per la regia di Tanya Wexler, una commedia che ha per pretesto
l'invenzione del vibratore.
Un pretesto e non di più, perché
se un tale argomento avrebbe potuto dar luogo al peggior trash che
avessi mai avuto la malasorte di vedere, in questo film gli aspetti
scabrosi si trattano ancora con una certa classe, pur non senza le
sue brave cadute di stile.
Il
giovane medico Mortimer Granville (Hugh Dancy), che tira avanti
grazie all'aiuto della famiglia del facoltoso amico Edmund St.
John-Smythe (un Rupert Everett dal look irriconoscibile per me che
l'avevo in precedenza visto soltanto nei panni di un Oberon ben
sbarbato in Sogno
di una notte di mezza estate
del 1993), viene licenziato senza troppe cerimonie dall'ospedale in
cui lavora per aver sostenuto teorie più moderne di quelle in cui
crede il suo superiore e, dopo una spettacolare serie di fallimenti,
riesce a farsi assumere come assistente nello studio privato del
dottor Robert Dalrymple (Jonathan Pryce), esperto di isteria e
fervente sostenitore della terapia a base di massaggi capaci di
indurre nelle pazienti dei “parossismi” (leggasi: orgasmi). Ben
presto viene introdotto il resto della famiglia, composto dalle due
figlie di Dalrymple, Emily e Charlotte (rispettivamente Felicity
Jones e Maggie Gyllenhaal): l'una un angelo del focolare
apparentemente perfetto, per cui Mortimer ha un'infatuazione
istantanea seguita ad un primo incontro ad altissima densità di
doppi sensi (vogliamo parlare del test improvvisato di frenologia?
Testuali parole: «Il suo trombo è così rigido, sporgente e
protuberante che mi ha fatta trasalire». Ditemi voi se non è un
frullato di sottintesi), l'altra un ciclone di energia che il padre
tratta più come una paziente che come una figlia, tanto che
all'inizio si può intuire la parentela solo dal fatto che la chiami
per nome. Ben lungi dall'essere un'isterica come tante altre, invece,
Charlotte è una donna generosa dalle idee troppo progressiste per
essere accettate sulla condizione del proprio sesso.
Le due vengono contrapposte su
tutta la linea in modo fin troppo visibile dal primo minuto in scena,
come se non fosse già stato un meccanismo abbastanza ovvio, tanto
per gradire, dar loro gli stessi nomi di battesimo di altre due
sorelle famose, Emily e Charlotte Brontë: sarebbe anche uno schema
apprezzabile, che forse ha reminiscenze classiche (penso ad Antigone
e Ismene), se non fosse così trasparente.
Per sentirsi utile, Charlotte
dirige una casa per i poveri nell'East End di Londra, dove ha fatto e
continua a fare conoscenze discutibili, quali Fanny, una donna in
perenne pericolo di sfratto che le dà una mano nella gestione, e
l'ex prostituta Molly, che ha salvato dalle strade convincendo il
padre ad assumerla come cameriera: una storia secondaria drammatica
dalle grandissime potenzialità andata tristemente sprecata in nome
del mantenimento di un tono per lo più leggero. Scelta azzeccata,
volendo restare nel tracciato del genere commedia, ma che non
giustifica del tutto il fatto che Molly diventi un
personaggio-macchietta che usa un tono di voce sensuale anche quando
c'entra come i cavoli a merenda, facendo suonare qualsiasi cosa dica
come un'allusione spinta. Perfino l'innocente consiglio di mettere un
po' di salsa sul pesce in bocca a lei pare l'offerta di servizi di un
certo tipo! Ricordare il suo passato è un conto, ma così è troppo.
I soldi per l'opera di carità
non bastano mai: il sogno di Charlotte sarebbe di avere duemila
sterline per comprare i due edifici adiacenti, ma deve impegnare un
paio di orecchini della defunta madre anche solo per averne duecento.
Attraverso tutta una serie di situazioni, inclusa una scontatissima
scena di scontro in cui le mani di Mortimer sembrano viaggiare da sé
in direzione del seno di lei, comincia a chiarirsi quale delle due
sorelle gli piaccia davvero, anche se ancora non lo ammette.
Intanto,
il rapporto di lavoro che sembrava andare alla grande, tanto che –
un po' per autoconvincimento, un po' per le spintarelle del dottore –
Mortimer chiede a Emily di sposarlo con quella che dev'essere la
proposta più fredda e inautentica della storia del cinema, smette di
essere così idilliaco quando il nostro protagonista, talmente
sfiancato dai massaggi da avere i crampi, spaventa una paziente
toccandola (mi aspetto i brividi da parte femminile e magari, per
empatia, pure da parte maschile) con una mano che aveva appena
immerso in acqua ghiacciata per cercare sollievo. L'imbarazzo sale
alle stelle e Mortimer, temporaneamente, viene cacciato dallo studio,
ma la soluzione cade dal cielo nella forma di una delle strambe
invenzioni di Edmund, che ha una smodata passione per qualsiasi
oggetto in cui scorra questa sconosciuta, l'elettricità. Provando
oziosamente un piumino per la polvere ad alta (per allora)
tecnologia, Mortimer riscontra un immediato miglioramento dei suoi
crampi grazie alla vibrazione dello strumento e, modifica tu che
modifico anch'io, il piumino viene spennato come un pollo e diventa
il primo esemplare al mondo di... parossismatore? Massaggiatore
elettrico? Ululatore,
vista la reazione di Molly in qualità di cavia numero uno? Le
proposte strane per il nome non si contano.
Rassicurato
dalle testimonianze dei due amici, Dalrymple acconsente a provarlo
sulla paziente precedentemente insoddisfatta, una cantante lirica
spagnola che, assurdamente ma non troppo, reagisce gorgheggiando a
gola spiegata un'aria de La
traviata.
Gaudio e tripudio! Granville e
Dalrymple sono ancora soci, gli appuntamenti s'infittiscono, e
soprattutto questo matrimonio s'ha (di nuovo) da fare!
Peccato che la sfarzosa festa di
fidanzamento a casa di Edmund venga interrotta dall'irruzione di
Fanny, sanguinante e seguita da due agenti di polizia: era stata
catturata e ferita per non aver potuto restituire le duecento
sterline con gli interessi.
Si scatena un putiferio durante
il quale Charlotte colpisce un poliziotto; si fissa la data del suo
processo e pare che l'unico modo per salvare il buon nome della
famiglia sia di dichiararla isterica e farla internare. A tale scopo,
Dalrymple chiede a Mortimer di testimoniare in qualità di esperto in
materia, ma – con sorpresa di tutti tranne che del pubblico del
film – il nostro protagonista arriva al tribunale in ritardo, tutto
trafelato, e si pronuncia ormai convinto che l'isteria non esista,
ripetendo testuali parole l'opinione che la sua amata aveva espresso
poco tempo prima alla festa. Vi lascio immaginare la conclusione. Un
indizio? Allarme spoiler: almeno è scongiurato il manicomio.
Nel frattempo, le rotelline nel
cervello dell'amico inventore hanno continuato a girare e il magico
strumento, diventato portatile, viene venduto direttamente alle
donne, “per uso domestico!”, si dice in tono incredulo. Questo
significa ulteriori profitti, che Mortimer prevedibilmente consegna a
Charlotte insieme a tutta una serie di altri simpatici regalini: una
pelliccia che contiene nella tasca interna gli orecchini ormai
ricomprati e una proposta di matrimonio come si deve, coronata da un
bacio.
Piuttosto divertente il finale in
cui si mostra il nome commerciale definitivo dell'altrimenti
innominabile gingillo, “Jolly Molly”, e tutto un montaggio di
pudiche donne vittoriane che prima di azionarlo si guardano
accuratamente in giro e/o chiudono pesanti tendaggi. Come ultimo
colpo di coda, s'insinua che possa usarlo perfino la regina Vittoria
in persona, nel segreto di Buckingham Palace: quanto sia storicamente
accurata la cosa, non lo so, ma se consideriamo che si sussurrava
che, lungi dal mantenere il lutto strettissimo fin dal lontano 1861,
avesse di che trastullarsi tra i suoi servi preferiti...
A proposito di credibilità,
alcuni particolari sparsi per gli appassionati del genere. La
bicicletta di Charlotte è promossa per il rotto della cuffia: ha le
ruote di dimensioni uguali, e da quel che ho capito il famigerato
velocipede, con quella sproporzione che tutti abbiamo in mente, in
quegli anni era già tramontato, ma non da molto. Pollici in su anche
per la discussione tra Granville e il suo superiore che, entro i
limiti della mia conoscenza della medicina ottocentesca, mi è parsa
attendibile, e per la menzione delle pillole Beekman come rimedio
universale in realtà ben poco efficace: ho scoperto da poco che
esistevano davvero.
I
costumi stavolta sono quasi tutti ben realizzati. La scelta delle
forme e dei colori è di solito inappuntabile, con una buona resa
delle differenze tra gli strati sociali, cravatte a pois che pare
fossero molto indossate all'epoca, tournure
ridicolmente (e correttamente) gonfie sui delicati posteriori delle
ragazze e un Dancy a cui il cappello a cilindro dona parecchio
(pardon,
per me col cilindro sta bene qualunque essere dotato di cromosoma Y,
non posso farci niente). Disgustoso ma accurato il dettaglio iniziale
sui piedi del gran dottore che, con le scarpe tirate a lucido
protette da immacolate soprascarpe, negli ultimi passi che lo
separano dall'ospedale raccoglie il poco simpatico ricordino di un
cane e alcune foglie secche, per poi ripulirsi sommariamente prima di
entrare con uno sfregamento appena sufficiente a staccarle.
Bocciato,
bocciatissimo, il look delle due sorelle alla festa di fidanzamento.
Charlotte indossa un abito talmente diverso da quello di tutte le
altre che anche un occhio inesperto si accorgerebbe che non è
storicamente credibile: senza spalline, con una gran bella visuale
sulla schiena della Gyllenhaal e di una forma che senza dubbio
valorizza il suo corpo, ma getta tutta la grande attenzione messa
fino ad allora dai costumisti... diciamo giù da un dirupo, per
essere fini. Emily, d'altro canto, sarà pure attendibile dalla testa
ai piedi, ma su quella testa ha una tale impalcatura di capelli da
diventare una parodia di se stessa. Chiaramente questo non è altro
che un espediente per mettere in risalto Charlotte e far restare
nell'ombra la protagonista solo teorica dell'evento, come se non
l'avessimo già capito dall'equivoco dei St. John-Smythe senior che
scambiano Charlotte per la fidanzata.
Insomma: un tema pruriginoso
affrontato con (abbastanza) stile, un quadro intelligente della
condizione femminile nell'Ottocento e oltre, ma anche una commedia
senza la minima sorpresa, con schemi narrativi talmente lapalissiani
da far ridere involontariamente. Buono per passare cento minuti tondi
tondi gradevoli, ma non di più.
Valutazione complessiva:
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