domenica 30 marzo 2014

L'effetto Barbie

Corpi impossibili ieri e oggi

Salve a tutti, belli e brutti.
E a proposito di belli, oggi si parla proprio di questo: di bellezza, o meglio, di com'è cambiata e delle stranezze che la gente era (ed è) disposta a fare per averla. Spero mi perdonerete, lettori dotati di cromosoma Y, se mi soffermerò principalmente sul lato femminile della questione: sono una donna anch'io, conosco meglio il campo. Attenzione, alcune delle immagini che seguiranno potrebbero risultarvi disgustose o inquietanti. Se non vi ritenete sufficientemente forti di stomaco, non ve ne farò una colpa.
Partiamo da lontano. Questo vi sembra bello da vedere? Spero per voi che abbiate risposto di no. Ebbene, c'erano popolazioni – Maya e Incas, per nominare solo le due più note – perfettamente convinte che una testa di questa forma denotasse un'origine nobile: se la ragione per sottoporre i bambini in tenerissima età a fasciature strette e altri sistemi anche molto dolorosi di deformazione artificiale del cranio non era dunque esclusivamente estetica, ma piuttosto economica e sociale, possiamo supporre con un certo grado di sicurezza che un aspetto “da ricchi” fosse anche considerato desiderabile*. Cosa questo significhi per il cervello, ci vorrebbe un medico per dirlo e io non lo sono, ma a occhio e croce non può trattarsi di conseguenze piacevoli. Voi lascereste che una cosa del genere fosse fatta a un vostro ipotetico figlio, fratellino, nipotino o altro parente qualsiasi la cui scatola cranica sia ancora suscettibile di trasformazioni? No, vero? Eppure di spinte verso un corpo dalle forme innaturali ne riceviamo ancora, tutti, da ogni parte. Magari non fisiche, ma ne riceviamo.
Sempre parlando di deformazioni, spostiamoci in tutt'altro angolo di mondo e facciamo un altro esempio forse più celebre: quello dell'antica usanza cinese di fasciare i piedi delle donne in modo da ostacolarne la crescita. Nell'immagine un confronto tra un piede lasciato libero di svilupparsi e uno sottoposto a questa pratica. Se anch'essa aveva i suoi bravi motivi sociali (una donna con difficoltà a camminare era materialmente dipendente dal marito: le fasciature infatti si effettuavano a età diverse e con tecniche diverse a seconda della necessità o meno che le bambine fossero abili al lavoro, ed escluderle da subito da un'occupazione fisicamente impegnativa indicava la speranza che trovassero uno sposo sufficientemente abbiente da mantenerle), è altrettanto accertato che i piedi piccoli (tra i 7 e i 12 centimetri), soprannominati Loto d'oro o Gigli d'oro, e la caratteristica andatura oscillante che conferivano, avessero per gli uomini anche una forte valenza erotica, paragonabile a quella che in Occidente ha il seno, e che l'abbigliamento femminile facesse del suo meglio per esaltarli tra scarpine finemente lavorate e pantaloni dall'orlo colorato**. 
Pare che addirittura la scarpetta di cristallo di Cenerentola in origine non fosse altro che una pantofolina di pelo di fattura cinese passata attraverso un errore di trascrizione, e che quindi la protagonista dimostrasse di essere la più bella e nobile di tutte proprio perché i suoi piedi erano particolarmente piccoli. C'è chi dice che una scarpa di vetro o cristallo come quella che immaginiamo noi, infatti, sia fisicamente impossibile: bella da vedere su una modella seduta, magari, ma non indossabile per camminare né tantomeno ballare, perché si frantumerebbe sotto il peso del corpo con tutte le dolorose schegge del caso. Se ho appena distrutto qualche infanzia, ve ne chiedo umilmente perdono.
Ma queste, direte voi, sono cose lontane nel tempo e nello spazio, che non ci riguardano: la nostra società non fa cose del genere. Spiace dirlo, ma se l'avete pensato siete nel torto: l'Occidente ha prodotto eccome tentativi di modificare il corpo umano in nome di un ideale di bellezza e di presunta salute, solo che, invece che in cima o in fondo, bisogna andarli a cercare nella sua parte centrale.
Ci siete già arrivati? Sto parlando dell'abitudine di indossare sotto gli abiti femminili il celeberrimo corsetto irrigidito da tutta una serie di materiali rari (stecche di balena) o, in mancanza di essi, anche più comuni (rinforzi in vimini o metallici), per inseguire il mitico “vitino di vespa”. Se ne associa l'uso tipicamente al XIX secolo, ma i primi paragonabili a quelli che tutti abbiamo in mente risalgono al XVI e sono delle autentiche gabbie di metallo che non sarebbe troppo scorretto definire, per peso e scomodità, delle mini-armature. Caratteristiche, queste, che (per fortuna!) li fecero presto tramontare in favore di versioni sempre strettissime, ma almeno più leggere.
Oltre alle ragioni estetiche ce n'era, stavolta, una medica: si era interamente persuasi che la donna, per natura più fragile dell'uomo, avesse bisogno del corsetto come sostegno. Si tentava poi di “dimostrarlo” facendo magari provare a camminare senza una donna che l'avesse portato da sempre, senza comprendere che a renderlo impossibile erano proprio le deformazioni ossee portate dal suo uso. Qualcuno, per la precisione Samuel Thomas von Sömmerring, si era già accorto dei pericoli nel 1793, ma ciò non impedì alla corsetto-mania di dominare la moda femminile e, in versione un po' meno estrema, anche maschile del secolo a venire. Sua l'illustrazione che confronta un corpo di donna naturale con uno modificato dal busto***.
Se questi stilisti e queste fashion victim ante litteram ne avessero avuto la possibilità, sicuramente avrebbero ristretto i vitini dei soggetti delle prime fotografie con Photoshop, non credete? Ma le meraviglie della grafica erano ancora un sogno e l'inventiva umana preferiva la soluzione drastica di intervenire direttamente sul corpo piuttosto che sulla sua immagine.
Ma sarà tanto più salutare deformare le ragazze di copertina con qualche clic? Di certo ha l'enorme vantaggio di non essere doloroso, ma da qui a pensare che il nostro ideale di corpo umano abbia raggiunto il perfetto accordo con la natura ne passa, di acqua sotto i ponti. Per quanto si ripeta all'infinito che le modelle che compaiono sulle riviste, per essere così scolpite, oltre che per diete ed esercizi sono passate anche attraverso una pesante mano di aiutini al computer, resta il fatto che un'immagine colpisce più di mille parole, e che se una figura di donna con gambe chilometriche, pancia artificialmente appiattita e seni aumentati con una mastoplastica additiva che invece che in sala operatoria avviene su uno schermo ci viene proposta insieme a un bombardamento di messaggi che in sostanza dicono “Quella lì sì che è bella”, tenderemo più o meno consciamente a crederci. È naturale e non è detto che siamo tutti sciocchi pecoroni per questo: un conto è credere ciecamente a qualsiasi panzana ci venga raccontata, un altro è comportarsi secondo meccanismi inevitabili legati a come funziona il nostro cervello. Neanche il più smaliziato di noi può liberarsene del tutto.
Ma se un corpo tonico si può ottenere con uno stile di vita sano e chi s'impegna per averlo, nei giusti limiti e coi giusti metodi, considerando la salute come obiettivo primario e la bellezza come un bonus aggiunto, è solo da stimare, un fisico come quello creato da un programma di grafica, a meno di non sottoporsi a una lunga serie di interventi chirurgici che riproducano nella carne gli effetti impressi ai pixel, è proprio impossibile e, a ben vedere, non auspicabile: gli esperti, a parte qualche errore clamoroso, di solito sanno quale sia il confine tra un risultato che funziona e uno grottesco e si fermano prima di raggiungerlo, quindi a colpo d'occhio non lo vediamo, ma una donna con quelle forme camminerebbe male, curva per l'eccessiva fragilità delle gambe lunghissime unite al seno troppo pesante.
E a proposito di dubbie proporzioni, trasferiamoci dalle donne di carta patinata a quelle di plastica e pensiamo un po' ai modelli con cui giocano le bambine. Preparatevi a essere stupiti: se l'intramontabile Barbie diventasse magicamente una ragazza reale, ma conservando, in scala, tutte le sue misure, cosa pensate che accadrebbe? Problemi posturali, forse? No, peggio. Addirittura non potrebbe fare una vita normale! Sempre che sopravviva, il che non è così scontato.
In sintesi, una donna con il corpo di Barbie avrebbe, dall'alto in basso, questa impressionante serie di patologie:
- una testa di circonferenza superiore alla media che il collo, più lungo e sottile del normale, non riuscirebbe a sostenere;
- spazio nell'addome solo per mezzo fegato e una manciata di centimetri d'intestino;
- un rapporto tra vita e fianchi di 0,56, quando il valore medio è 0,80 (forse il mito della vespa non è morto);
- polsi troppo esili per eseguire qualunque lavoro di sollevamento pesi;
- gambe più sottili di quanto sia naturale e del 50% più lunghe delle braccia contro una media del 20%;
- impossibilità di camminare se non a gattoni per una combinazione di caviglie troppo fragili, piedi di una misura da bambina innestati su un corpo adulto e cattiva distribuzione del peso del corpo, con troppa massa nella parte alta e poca in basso.
E sappiamo tutti cosa può succedere facendo giocare una bambina solo con bambole di un certo tipo, vero? Be', sicuramente lo sapeva Manzoni, che si è ben premurato di includere i giocattoli di Gertrude tra i metodi di coercizione applicati dalla sua famiglia...

Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santini che rappresentavan monache; e que’ regali eran sempre accompagnati con gran raccomandazioni di tenerli ben di conto; come cosa preziosa, e con quell’interrogare affermativo: - bello eh? - […] Nessuno però le disse mai direttamente: tu devi farti monaca. Era un’idea sottintesa e toccata incidentemente, in ogni discorso che riguardasse i suoi destini futuri.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo IX****

Con questo non dico di bandire le Barbie dai giochi delle bambine, anche perché ormai è difficile se non impossibile: o con lei o con qualcun'altra che le somiglia verranno in contatto di sicuro, a casa di amichette se non nella propria, e cercare di evitarlo equivale più o meno a svuotare l'oceano con un cucchiaino. Prego soltanto di avere l'accortezza di alternarle con qualche immagine più accessibile, perché di storie di vite rovinate o finite in nome di un ideale irraggiungibile se ne sentono fin troppe.


Fate un confronto tra queste foto. Entrambi i risultati sono frutto, in tutto o in parte, di sacrifici, ma l'atteggiamento alla base è sano in un caso e malato nell'altro. A certi livelli, si parla di stili di vita che a quello di una futura monaca hanno poco da invidiare quanto a restrizioni.

Prima di decidere di seguire il proverbio “Chi bella vuole apparire un po' deve soffrire”, cercate almeno di avere le idee chiare su quale di queste due ragazze sia davvero bella. Vi chiedo solo questo.

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