Corpi impossibili ieri e oggi
Salve a tutti, belli e brutti.
E a proposito di belli, oggi si
parla proprio di questo: di bellezza, o meglio, di com'è cambiata e
delle stranezze che la gente era (ed è) disposta a fare per averla.
Spero mi perdonerete, lettori dotati di cromosoma Y, se mi soffermerò
principalmente sul lato femminile della questione: sono una donna
anch'io, conosco meglio il campo. Attenzione, alcune delle immagini
che seguiranno potrebbero risultarvi disgustose o inquietanti. Se non
vi ritenete sufficientemente forti di stomaco, non ve ne farò una
colpa.
Partiamo da
lontano. Questo vi sembra bello da vedere? Spero per voi che abbiate
risposto di no. Ebbene, c'erano popolazioni – Maya e Incas, per
nominare solo le due più note – perfettamente convinte che una
testa di questa forma denotasse un'origine nobile: se la ragione per
sottoporre i bambini in tenerissima età a fasciature strette e altri
sistemi anche molto dolorosi di deformazione artificiale del cranio
non era dunque esclusivamente estetica, ma piuttosto economica e
sociale, possiamo supporre con un certo grado di sicurezza che un
aspetto “da ricchi” fosse anche considerato desiderabile*. Cosa
questo significhi per il cervello, ci vorrebbe un medico per dirlo e
io non lo sono, ma a occhio e croce non può trattarsi di conseguenze
piacevoli. Voi lascereste che una cosa del genere fosse fatta a un
vostro ipotetico figlio, fratellino, nipotino o altro parente
qualsiasi la cui scatola cranica sia ancora suscettibile di
trasformazioni? No, vero? Eppure di spinte verso un corpo dalle forme
innaturali ne riceviamo ancora, tutti, da ogni parte. Magari non
fisiche, ma ne riceviamo.
Sempre
parlando di deformazioni, spostiamoci in tutt'altro angolo di mondo e
facciamo un altro esempio forse più celebre: quello dell'antica
usanza cinese di fasciare i piedi delle donne in modo da ostacolarne
la crescita. Nell'immagine un confronto tra un piede lasciato libero
di svilupparsi e uno sottoposto a questa pratica. Se anch'essa aveva
i suoi bravi motivi sociali (una donna con difficoltà a camminare
era materialmente dipendente dal marito: le fasciature infatti si
effettuavano a età diverse e con tecniche diverse a seconda della
necessità o meno che le bambine fossero abili al lavoro, ed
escluderle da subito da un'occupazione fisicamente impegnativa
indicava la speranza che trovassero uno sposo sufficientemente
abbiente da mantenerle), è altrettanto accertato che i piedi piccoli
(tra i 7 e i 12 centimetri), soprannominati Loto d'oro o Gigli d'oro,
e la caratteristica andatura oscillante che conferivano, avessero per
gli uomini anche una forte valenza erotica, paragonabile a quella che
in Occidente ha il seno, e che l'abbigliamento femminile facesse del
suo meglio per esaltarli tra scarpine finemente lavorate e pantaloni
dall'orlo colorato**.
Pare che addirittura la scarpetta di cristallo
di Cenerentola in origine non fosse altro che una pantofolina di pelo
di fattura cinese passata attraverso un errore di trascrizione, e che
quindi la protagonista dimostrasse di essere la più bella e nobile
di tutte proprio perché i suoi piedi erano particolarmente piccoli.
C'è chi dice che una scarpa di vetro o cristallo come quella che
immaginiamo noi, infatti, sia fisicamente impossibile: bella da
vedere su una modella seduta, magari, ma non indossabile per
camminare né tantomeno ballare, perché si frantumerebbe sotto il
peso del corpo con tutte le dolorose schegge del caso. Se ho appena
distrutto qualche infanzia, ve ne chiedo umilmente perdono.
Ma queste, direte voi, sono cose
lontane nel tempo e nello spazio, che non ci riguardano: la nostra
società non fa cose del genere. Spiace dirlo, ma se l'avete pensato
siete nel torto: l'Occidente ha prodotto eccome tentativi di
modificare il corpo umano in nome di un ideale di bellezza e di
presunta salute, solo che, invece che in cima o in fondo, bisogna
andarli a cercare nella sua parte centrale.
Ci siete già arrivati? Sto
parlando dell'abitudine di indossare sotto gli abiti femminili il
celeberrimo corsetto irrigidito da tutta una serie di materiali rari
(stecche di balena) o, in mancanza di essi, anche più comuni
(rinforzi in vimini o metallici), per inseguire il mitico “vitino
di vespa”. Se ne associa l'uso tipicamente al XIX secolo, ma i
primi paragonabili a quelli che tutti abbiamo in mente risalgono al
XVI e sono delle autentiche gabbie di metallo che non sarebbe troppo
scorretto definire, per peso e scomodità, delle mini-armature.
Caratteristiche, queste, che (per fortuna!) li fecero presto
tramontare in favore di versioni sempre strettissime, ma almeno più
leggere.
Oltre
alle ragioni estetiche ce n'era, stavolta, una medica: si era
interamente persuasi che la donna, per natura più fragile dell'uomo,
avesse bisogno del corsetto come sostegno. Si tentava poi di
“dimostrarlo” facendo magari provare a camminare senza una donna
che l'avesse portato da sempre, senza comprendere che a renderlo
impossibile erano proprio le deformazioni ossee portate dal suo uso.
Qualcuno, per la precisione Samuel Thomas von Sömmerring, si era già
accorto dei pericoli nel 1793, ma ciò non impedì alla
corsetto-mania di dominare la moda femminile e, in versione un po'
meno estrema, anche maschile del secolo a venire. Sua l'illustrazione
che confronta un corpo di donna naturale con uno modificato dal
busto***.
Se
questi stilisti e queste fashion victim ante
litteram
ne avessero avuto la possibilità, sicuramente avrebbero ristretto i
vitini dei soggetti delle prime fotografie con Photoshop, non
credete? Ma le meraviglie della grafica erano ancora un sogno e
l'inventiva umana preferiva la soluzione drastica di intervenire
direttamente sul corpo piuttosto che sulla sua immagine.
Ma sarà tanto più salutare
deformare le ragazze di copertina con qualche clic? Di certo ha
l'enorme vantaggio di non essere doloroso, ma da qui a pensare che il
nostro ideale di corpo umano abbia raggiunto il perfetto accordo con
la natura ne passa, di acqua sotto i ponti. Per quanto si ripeta
all'infinito che le modelle che compaiono sulle riviste, per essere
così scolpite, oltre che per diete ed esercizi sono passate anche
attraverso una pesante mano di aiutini al computer, resta il fatto
che un'immagine colpisce più di mille parole, e che se una figura di
donna con gambe chilometriche, pancia artificialmente appiattita e
seni aumentati con una mastoplastica additiva che invece che in sala
operatoria avviene su uno schermo ci viene proposta insieme a un
bombardamento di messaggi che in sostanza dicono “Quella lì sì
che è bella”, tenderemo più o meno consciamente a crederci. È
naturale e non è detto che siamo tutti sciocchi pecoroni per questo:
un conto è credere ciecamente a qualsiasi panzana ci venga
raccontata, un altro è comportarsi secondo meccanismi inevitabili
legati a come funziona il nostro cervello. Neanche il più smaliziato
di noi può liberarsene del tutto.
Ma se un corpo tonico si può
ottenere con uno stile di vita sano e chi s'impegna per averlo, nei
giusti limiti e coi giusti metodi, considerando la salute come
obiettivo primario e la bellezza come un bonus aggiunto, è solo da
stimare, un fisico come quello creato da un programma di grafica, a
meno di non sottoporsi a una lunga serie di interventi chirurgici che
riproducano nella carne gli effetti impressi ai pixel, è proprio
impossibile e, a ben vedere, non auspicabile: gli esperti, a parte
qualche errore clamoroso, di solito sanno quale sia il confine tra un
risultato che funziona e uno grottesco e si fermano prima di
raggiungerlo, quindi a colpo d'occhio non lo vediamo, ma una donna
con quelle forme camminerebbe male, curva per l'eccessiva fragilità
delle gambe lunghissime unite al seno troppo pesante.
E a proposito di dubbie
proporzioni, trasferiamoci dalle donne di carta patinata a quelle di
plastica e pensiamo un po' ai modelli con cui giocano le bambine.
Preparatevi a essere stupiti: se l'intramontabile Barbie diventasse
magicamente una ragazza reale, ma conservando, in scala, tutte le sue
misure, cosa pensate che accadrebbe? Problemi posturali, forse? No,
peggio. Addirittura non potrebbe fare una vita normale! Sempre che
sopravviva, il che non è così scontato.
In sintesi, una
donna con il corpo di Barbie avrebbe, dall'alto in basso, questa
impressionante serie di patologie:
- una testa di circonferenza superiore alla media che il collo, più lungo e sottile del normale, non riuscirebbe a sostenere;
- una testa di circonferenza superiore alla media che il collo, più lungo e sottile del normale, non riuscirebbe a sostenere;
- spazio nell'addome solo per
mezzo fegato e una manciata di centimetri d'intestino;
- un rapporto tra vita e fianchi
di 0,56, quando il valore medio è 0,80 (forse il mito della vespa
non è morto);
- polsi troppo esili per eseguire
qualunque lavoro di sollevamento pesi;
- gambe più sottili di quanto
sia naturale e del 50% più lunghe delle braccia contro una media del
20%;
- impossibilità di camminare se
non a gattoni per una combinazione di caviglie troppo fragili, piedi
di una misura da bambina innestati su un corpo adulto e cattiva
distribuzione del peso del corpo, con troppa massa nella parte alta e
poca in basso.
E sappiamo tutti cosa può
succedere facendo giocare una bambina solo con bambole di un certo
tipo, vero? Be', sicuramente lo sapeva Manzoni, che si è ben
premurato di includere i giocattoli di Gertrude tra i metodi di
coercizione applicati dalla sua famiglia...
Bambole vestite da monaca furono
i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santini che
rappresentavan monache; e que’ regali eran sempre accompagnati con
gran raccomandazioni di tenerli ben di conto; come cosa preziosa, e
con quell’interrogare affermativo: - bello eh? - […] Nessuno però
le disse mai direttamente: tu devi farti monaca. Era un’idea
sottintesa e toccata incidentemente, in ogni discorso che riguardasse
i suoi destini futuri.
Alessandro
Manzoni, I
promessi sposi,
capitolo IX****
Con questo non dico di bandire le
Barbie dai giochi delle bambine, anche perché ormai è difficile se
non impossibile: o con lei o con qualcun'altra che le somiglia
verranno in contatto di sicuro, a casa di amichette se non nella
propria, e cercare di evitarlo equivale più o meno a svuotare
l'oceano con un cucchiaino. Prego soltanto di avere l'accortezza di
alternarle con qualche immagine più accessibile, perché di storie
di vite rovinate o finite in nome di un ideale irraggiungibile se ne
sentono fin troppe.
Fate un confronto tra queste foto. Entrambi i risultati sono frutto, in tutto o in parte, di sacrifici, ma l'atteggiamento alla base è sano in un caso e malato nell'altro. A certi livelli, si parla di stili di vita che a quello di una futura monaca hanno poco da invidiare quanto a restrizioni.
Prima di decidere di seguire il
proverbio “Chi bella vuole apparire un po' deve soffrire”,
cercate almeno di avere le idee chiare su quale di queste due ragazze sia davvero bella. Vi chiedo solo questo.
****
Fonte: http://promessisposi.weebly.com/capitolo-ix.html
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