giovedì 20 marzo 2014

Leggere a scuola

Aiuta o uccide?

Un saluto a tutti i miei lettori.
E a proposito di lettori, alzi la mano chi può dire con onestà di aver avuto un'esperienza di lettura a scuola tutto sommato positiva, che abbia alimentato l'amore per i libri.
Se avete alzato la mano, o immaginato di farlo, sappiate che siete persone molto, molto fortunate.
Considero un'autentica benedizione il fatto di essere arrivata a scuola amando già la lettura di un amore tanto radicato che niente avrebbe più potuto cancellarlo, perché credo davvero che se non fossi stata un cucciolo di topo di biblioteca ben prima di iniziare la mia carriera ufficiale, oggi non sarei qui a gestire questo blog, in quanto il modo in cui i libri vengono normalmente trattati in classe avrebbe lentamente asfissiato la mia voglia di leggere e probabilmente, con essa, anche quella di scrivere. Se non avessi avuto (e ne ringrazio un Dio in cui non so nemmeno se credo, anzi, più no che sì) una casa piena di libri e due genitori pronti a incoraggiare la mia attrazione magnetica verso qualsiasi oggetto con sopra delle parole scritte, la scuola, che in pura teoria dovrebbe essere un centro d'istruzione e di cultura, avrebbe fatto di me una non-lettrice, e di conseguenza, una persona completamente diversa da quella che sono oggi. Ho avuto la mia parte di episodi piacevoli, ma tutti avvenuti piuttosto tardi, a un'età in cui gusti e abitudini erano già bell'e formati e nessun metodo, per quanto eccellente, avrebbe più smosso di un millimetro chi ormai aveva deciso più o meno consciamente di non leggere. Rammento ancora con un brivido l'idea di “biblioteca scolastica” che aveva la mia classe delle elementari: un armadio in fondo all'aula stipato di libri in cui forse ne trovai una decina di appetibili, a essere molto generosa. Inutile ripetere alla maestra che io frequentavo già la biblioteca civica: lei, giustamente, aveva bisogno della prova provata che io leggessi, e di questo non posso certo farle una colpa. Tuttavia, reagire con un tono di voce che scoraggiava le visitine in una biblioteca degna di questo nome in favore del penoso armadietto, come se la scuola fosse l'unica fonte concepibile di cultura e cercare di ampliare i miei orizzonti al di fuori di essa fosse un crimine, è una cosa che – oltre ad essere in odore di dittatura – proprio non le fa onore. Dopo i genitori, gli insegnanti sono forse le figure più influenti nella vita di un bambino di quell'età, e se io non fossi stata già una sorta di mascotte della biblioteca, dalla sua inflessione avrei dedotto che fosse un brutto posto e magari (lo scrivo con sincero orrore) avrei smesso di andarci.
E che gran libri ci venivano proposti! Di solito sceglievamo noi cosa prendere dalla piccola scorta, segnando prestiti e restituzioni nella patetica imitazione di un registro, ma resterà per sempre marchiata a fuoco nella mia mente quella terribile volta in cui la maestra, con tutta la sicurezza di questo mondo, mi disse: «Te ne consiglio io uno adatto a te!» e mi assegnò per compito la scheda, dettagliata fino al dolore fisico, di un libretto infinitamente inferiore al livello delle mie letture abituali, noiosissimo e già infantile per me che ero ancora una bambina. Adatto? Adatto a chi, al mio doppelgänger scemo? Ma sorvoliamo sui miei vecchi traumi e facciamo un salto temporale.
Io capisco che i programmi ministeriali dettino di affrontare, che so, l'Inferno un anno, il Purgatorio il successivo e il Paradiso l'altro ancora, o di far leggere I Promessi Sposi frazionandoli lungo il corso di parecchi mesi.
Ma come in tutte le cose, c'è modo e modo di farlo, per Giove! Come leggere le favole ai bambini è un ottimo incoraggiamento alla lettura, però bisogna saperle leggere, anche imporre i libri a scuola è un sistema che se ben usato può funzionare, però bisogna saper far leggere, che non è semplice.
Punto primo: l'uccisione dell'emozione. Siate onesti: trovate, o avete trovato, la lettura in classe eccitante? Brani affrontati a turno, col pagliaccio del gruppo che mette in ridicolo quanto legge, il timido che s'impappina, lo svogliato che usa un tono più piatto di quello di un sintetizzatore vocale e forse, se si è fortunati, l'occasionale bravo attore... La registrazione di una performance del genere sarebbe il peggior audiolibro della storia dell'editoria! Si usano normalmente dei CD per gli esercizi d'ascolto d'inglese: se sentir leggere ad alta voce è davvero così imprescindibile per lo svolgimento della lezione, averne a disposizione uno buono, con voci decenti che sappiano metterci un po' di sentimento, è chiedere troppo? Se poi il docente ritiene che una buona capacità di lettura espressiva sia importante, benissimo, che riservi pure un po' di tempo per fare esercizio, ma quando si ha già un minimo di confidenza col testo, non la prima volta che lo si apre. Si perdono tantissimi minuti preziosi a cercare il modo migliore di recitare battute del tutto ignote.
Punto secondo: gli impietosi spoiler. Un appello a tutti i professori: se calcolate di non riuscire ad arrivare alla fine del libro, assegnate pure la lettura dei riassuntini della trama eventualmente presenti sul libro di testo, oppure spiegate voi stessi come va a finire, ma se ritenete di potercela fare, per carità, non svelate il finale! Si può sapere che gusto c'è? Se si tratta di una classe con conoscenze precedenti sul libro che sta affrontando allora è tutto un altro paio di maniche, ma una che ne parli per la prima volta? Non vi sentite un po' crudeli a spegnere qualsiasi entusiasmo, a smontare qualunque voglia di parteggiare per l'uno o per l'altro personaggio e di festeggiare o essere delusi quando le cose vanno bene o male al proprio beniamino, a incatenare la fantasia proibendo fin dall'inizio le supposizioni, le speranze e le paure sul seguito? Per l'amor del cielo, lasciar correre un po' di ipotesi non sarebbe pure un buon modo per verificare se i ragazzi abbiano capito bene il modo di agire dei personaggi?
Punto terzo: la repressione delle reazioni. Va bene la necessità di moderare il linguaggio e di essere educati a scuola, ma se uno si lascia coinvolgere e sente il bisogno di dire qualcosa che non sia una domanda sul pensiero del critico Tal dei Tali, non bollatela necessariamente come inopportuna. Tenete in considerazione gli eventi descritti in quel momento e l'età di chi avete davanti per regolarvi in merito, non decidete a priori che qualsiasi manifestazione è sbagliata perché non è abbastanza profonda. Permettere alla storia di catturarti è il primo segno di partecipazione e attenzione! Se non badi al livello più elementare, come puoi pretendere di arrivare a tutti gli altri? La mia prima professoressa d'italiano alle medie, lo ricordo benissimo, ci lasciò fare tutto il tifo che volevamo per Achille o per Ettore, anzi, previde la formazione di due opposti schieramenti in classe fin dalla prima lezione sull'epica, e io ne fui indescrivibilmente felice. (PS: se ne avessi avuto il coraggio, sarei stata il capo indiscusso della tifoseria troiana, perché, citazione quasi letterale della me stessa di allora: “Se Ettore e Achille sono quasi forti uguali ma uno è mezzo dio e l'altro è tutto umano, allora vuol dire che Ettore è più forte, perché per arrivare allo stesso livello ha dovuto allenarsi di più!”)
Per favore, lasciateci esclamare un bel «Nooooo!» quando il matrimonio a sorpresa di Renzo e Lucia va a monte. Per favore, lasciateci esprimere il nostro disgusto nel leggere di Polifemo che si mangia i compagni di Ulisse crudi. Per favore, lasciateci sorridere e magari pure piangere per Paolo e Francesca. Succederanno miracoli.
Ma poi, frammentare la lettura è davvero così necessario? Posso capirlo per la Divina Commedia, che è scritta in un linguaggio che risulta alieno a molti e senza una spiegazione passo passo sarebbe un enigma continuo dall'inizio alla fine, ma prendiamo per esempio I Promessi Sposi.
Non è un italiano facile, tutt'altro, ma analizzare sette righe in un'ora (sic! Mi è proprio successo! Sette righe, le prime sette dopo l'introduzione col falso manoscritto, per la precisione) mi pare un'esagerazione. Non dico di assegnarli per intero come lettura a casa, come si fa talvolta per le vacanze, ma non sarebbe un'idea tanto malvagia provare a sacrificare parte degli altri compiti in favore di un semplice avviso: «Ragazzi, dal giorno tale cominceremo I Promessi Sposi, leggetevi il primo capitolo da soli e poi ne parleremo insieme. Non preoccupatevi se non capite tutto subito, la discussione è fatta apposta».
Così facendo la classe, o almeno la parte della classe che fa i compiti, non sarebbe completamente a digiuno, e ci sarebbe un bel po' di materiale di cui parlare. Finita l'analisi del primo capitolo, che siccome si conosce già un po' il testo avrebbe meno bisogno di essere rallentata dall'accidentata lettura ad alta voce di cui si è detto prima, si assegnerebbe il secondo e così via fino al trentottesimo. Secondo i miei calcoli, con un po' di fortuna e di collaborazione si finirebbe il libro prima di quanto sia successo alla mia classe, anche se in effetti ci vuol poco a finirlo prima di mai! E così, forse, se l'ipotetico professore si impegnasse a non darsi allo spoiler selvaggio, I Promessi Sposi diventerebbero la storia appassionante che in effetti sono, ma che non sembrano mai agli studenti, e come valore aggiunto, verrebbero trattati come si faceva con tanti altri romanzi di quell'epoca, a puntate. Da qui a sussurrare due parolette alla professoressa d'inglese dell'ora successiva perché si ricordi di parlare di quando gente della levatura di Dickens viveva con le dita perennemente sporche d'inchiostro, facendosi pagare un tanto a riga per episodi venduti a un penny a fascicolo, il passo è brevissimo. Et voilà l'interdisciplinarità, che bello, trallallero trallallà.
Obietterete che mi fido troppo e che su un “normale” gruppo di una ventina di persone ce ne sarebbero forse un paio, i più secchioni, pronti a farlo, ma una volta capito che ne va del proprio voto, oppure che arrivare a scuola senza aver letto significa essere messi in imbarazzo, forse qualcun altro si deciderebbe. Nell'età in cui è naturale sentirsi più insicuri, il giudizio degli altri è un'arma potente, e se fare una magra figura è spiacevole a cinque anni come a cinquanta, è ancora peggio intorno ai quindici. Se poi si tratta di un campione umano in cui chi non sa quel che dovrebbe sapere o non fa quel che dovrebbe fare è visto come un ribelle e quindi un eroe, non so proprio che dire. Il mio ben modesto tentativo di essere propositiva oltre che distruttiva si conclude qui contro la mia volontà: andrei oltre se avessi nozioni di pedagogia adeguate, ma mi mancano all'appello.
C'è chi (Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale: istruzioni per continuare a leggere) propone soluzioni ancora più drastiche, come istituire un mese della lettura in cui abbandonare i programmi di tutte le materie e usare le ore di scuola per proporre, o meglio imporre, agli studenti l'obiettivo di leggere un libro al giorno. Ecco, in questo già credo di meno. È un'iniziativa le cui premesse magari sono anche sane (benedett'uomo, ho dovuto preparare il suo saggio per un esame a cui in quel momento mi sembrava di tenere più dell'ossigeno e ho francamente adorato il suo modo di parlare della scuola come di uno spazio protetto, al sicuro dalle distrazioni che distolgono dalla lettura, che non viene sfruttato abbastanza), ma le cui conclusioni dimostrano che forse di scuola e di ragazzi ha capito meno di quel che vuole far credere: un libro al giorno? Sul serio? Ma non sa che è perfettamente naturale che ci siano persone che leggono più velocemente e altre più lentamente? E quali libri, poi? Non sono mica tutti uguali! Ci sono quelli che si possono benissimo leggere in un giorno come vorrebbe lui, quelli per cui l'impresa è proprio impossibile, e quelli per cui si può fare, ma solo a patto di non capirli, e allora è come non averli letti. Facciamo una cosa: se passa di qui qualcuno che ha modo di contattare il signor Casati, o addirittura lui in persona (lasciatemi sognare un po'...), gli faccia sapere che lo sfido io a leggere un libro in un giorno. Guerra e Pace.
Che poi, già l'atto di imporre la medesima lettura a tutti quanti per me ha un retrogusto d'oppressione che il “poco di zucchero” di Mary Poppins non arriva nemmeno vicino a cancellare. Le letture che mi sono state messe sotto il naso come obbligatorie sono quelle che lego ai ricordi peggiori e che ho compreso di meno. Certe, in particolare, è come non averle mai viste. E allora lo sforzo di ripetere che bisogna leggere dove finisce? Preferisco di gran lunga, se proprio il Ministero dice che si deve, la soluzione di un mio professore delle superiori (R.I.P.) che ci assegnò due libri alla volta a nostra scelta presi da liste che non finivano più. Sa già meno di prigione, e mi permise di godermi Il Giovane Holden a tal punto da diventare ossessionata con la canzone scozzese su cui gioca il titolo originale. L'avrei cantata all'interrogazione, se avessi potuto. Oh, diamine! Ce l'ho di nuovo in testa mentre scrivo!
E così, canticchiando allegramente di campi di segale, per oggi vi dico arrivederci. Via ai commenti!

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