Aiuta o uccide?
Un saluto a tutti i miei lettori.
E a proposito di lettori, alzi la
mano chi può dire con onestà di aver avuto un'esperienza di lettura
a scuola tutto sommato positiva, che abbia alimentato l'amore per i
libri.
Se avete alzato la mano, o
immaginato di farlo, sappiate che siete persone molto, molto
fortunate.
Considero
un'autentica benedizione il fatto di essere arrivata a scuola amando
già
la
lettura di un amore tanto radicato che niente avrebbe più potuto
cancellarlo, perché credo davvero che se non fossi stata un cucciolo
di topo di biblioteca ben prima di iniziare la mia carriera
ufficiale, oggi non sarei qui a gestire questo blog, in quanto il
modo in cui i libri vengono normalmente trattati in classe avrebbe
lentamente asfissiato la mia voglia di leggere e probabilmente, con
essa, anche quella di scrivere. Se non avessi avuto (e ne ringrazio
un Dio in cui non so nemmeno se credo, anzi, più no che sì) una
casa piena di libri e due genitori pronti a incoraggiare la mia
attrazione magnetica verso qualsiasi oggetto con sopra delle parole
scritte, la scuola, che in pura teoria dovrebbe essere un centro
d'istruzione e di cultura, avrebbe fatto di me una non-lettrice, e di
conseguenza, una persona completamente diversa da quella che sono
oggi. Ho avuto la mia parte di episodi piacevoli, ma tutti avvenuti
piuttosto tardi, a un'età in cui gusti e abitudini erano già bell'e
formati e nessun metodo, per quanto eccellente, avrebbe più smosso
di un millimetro chi ormai aveva deciso più o meno consciamente di
non leggere. Rammento ancora con un brivido l'idea di “biblioteca
scolastica” che aveva la mia classe delle elementari: un armadio in
fondo all'aula stipato di libri in cui forse ne trovai una decina di
appetibili, a essere molto generosa. Inutile ripetere alla maestra
che io frequentavo già la biblioteca civica: lei, giustamente, aveva
bisogno della prova provata che io leggessi, e di questo non posso
certo farle una colpa. Tuttavia, reagire con un tono di voce che
scoraggiava
le visitine in una biblioteca degna di questo nome in favore del
penoso armadietto, come se la scuola fosse l'unica fonte concepibile
di cultura e cercare di ampliare i miei orizzonti al di fuori di essa
fosse un crimine, è una cosa che – oltre ad essere in odore di
dittatura – proprio non le fa onore. Dopo i genitori, gli
insegnanti sono forse le figure più influenti nella vita di un
bambino di quell'età, e se io non fossi stata già una sorta di
mascotte della biblioteca, dalla sua inflessione avrei dedotto che
fosse un brutto posto e magari (lo scrivo con sincero orrore) avrei
smesso di andarci.
E che gran libri ci venivano
proposti! Di solito sceglievamo noi cosa prendere dalla piccola
scorta, segnando prestiti e restituzioni nella patetica imitazione di
un registro, ma resterà per sempre marchiata a fuoco nella mia mente
quella terribile volta in cui la maestra, con tutta la sicurezza di
questo mondo, mi disse: «Te ne consiglio io uno adatto a te!» e mi
assegnò per compito la scheda, dettagliata fino al dolore fisico, di
un libretto infinitamente inferiore al livello delle mie letture
abituali, noiosissimo e già infantile per me che ero ancora una
bambina. Adatto? Adatto a chi, al mio doppelgänger scemo? Ma
sorvoliamo sui miei vecchi traumi e facciamo un salto temporale.
Io
capisco che i programmi ministeriali dettino di affrontare, che so,
l'Inferno
un anno, il Purgatorio
il successivo e il Paradiso
l'altro
ancora, o di far leggere I
Promessi Sposi
frazionandoli lungo il corso di parecchi mesi.
Ma
come in tutte le cose, c'è modo e modo di farlo, per Giove! Come
leggere le favole ai bambini è un ottimo incoraggiamento alla
lettura, però bisogna saperle
leggere,
anche imporre i libri a scuola è un sistema che se ben usato può
funzionare, però bisogna saper
far leggere,
che non è semplice.
Punto primo: l'uccisione
dell'emozione. Siate onesti: trovate, o avete trovato, la lettura in
classe eccitante? Brani affrontati a turno, col pagliaccio del gruppo
che mette in ridicolo quanto legge, il timido che s'impappina, lo
svogliato che usa un tono più piatto di quello di un sintetizzatore
vocale e forse, se si è fortunati, l'occasionale bravo attore... La
registrazione di una performance del genere sarebbe il peggior
audiolibro della storia dell'editoria! Si usano normalmente dei CD
per gli esercizi d'ascolto d'inglese: se sentir leggere ad alta voce
è davvero così imprescindibile per lo svolgimento della lezione,
averne a disposizione uno buono, con voci decenti che sappiano
metterci un po' di sentimento, è chiedere troppo? Se poi il docente
ritiene che una buona capacità di lettura espressiva sia importante,
benissimo, che riservi pure un po' di tempo per fare esercizio, ma
quando si ha già un minimo di confidenza col testo, non la prima
volta che lo si apre. Si perdono tantissimi minuti preziosi a cercare
il modo migliore di recitare battute del tutto ignote.
Punto secondo: gli impietosi
spoiler. Un appello a tutti i professori: se calcolate di non
riuscire ad arrivare alla fine del libro, assegnate pure la lettura
dei riassuntini della trama eventualmente presenti sul libro di
testo, oppure spiegate voi stessi come va a finire, ma se ritenete di
potercela fare, per carità, non svelate il finale! Si può sapere
che gusto c'è? Se si tratta di una classe con conoscenze precedenti
sul libro che sta affrontando allora è tutto un altro paio di
maniche, ma una che ne parli per la prima volta? Non vi sentite un
po' crudeli a spegnere qualsiasi entusiasmo, a smontare qualunque
voglia di parteggiare per l'uno o per l'altro personaggio e di
festeggiare o essere delusi quando le cose vanno bene o male al
proprio beniamino, a incatenare la fantasia proibendo fin dall'inizio
le supposizioni, le speranze e le paure sul seguito? Per l'amor del
cielo, lasciar correre un po' di ipotesi non sarebbe pure un buon
modo per verificare se i ragazzi abbiano capito bene il modo di agire
dei personaggi?
Punto terzo: la repressione delle
reazioni. Va bene la necessità di moderare il linguaggio e di essere
educati a scuola, ma se uno si lascia coinvolgere e sente il bisogno
di dire qualcosa che non sia una domanda sul pensiero del critico Tal
dei Tali, non bollatela necessariamente come inopportuna. Tenete in
considerazione gli eventi descritti in quel momento e l'età di chi
avete davanti per regolarvi in merito, non decidete a priori che
qualsiasi manifestazione è sbagliata perché non è abbastanza
profonda. Permettere alla storia di catturarti è il primo segno di
partecipazione e attenzione! Se non badi al livello più elementare,
come puoi pretendere di arrivare a tutti gli altri? La mia prima
professoressa d'italiano alle medie, lo ricordo benissimo, ci lasciò
fare tutto il tifo che volevamo per Achille o per Ettore, anzi,
previde la formazione di due opposti schieramenti in classe fin dalla
prima lezione sull'epica, e io ne fui indescrivibilmente felice. (PS:
se ne avessi avuto il coraggio, sarei stata il capo indiscusso della
tifoseria troiana, perché, citazione quasi letterale della me stessa
di allora: “Se Ettore e Achille sono quasi forti uguali ma uno è
mezzo dio e l'altro è tutto umano, allora vuol dire che Ettore è
più forte, perché per arrivare allo stesso livello ha dovuto
allenarsi di più!”)
Per favore, lasciateci esclamare
un bel «Nooooo!» quando il matrimonio a sorpresa di Renzo e Lucia
va a monte. Per favore, lasciateci esprimere il nostro disgusto nel
leggere di Polifemo che si mangia i compagni di Ulisse crudi. Per
favore, lasciateci sorridere e magari pure piangere per Paolo e
Francesca. Succederanno miracoli.
Ma
poi, frammentare la lettura è davvero così necessario? Posso
capirlo per la Divina Commedia, che è scritta in un linguaggio che
risulta alieno a molti e senza una spiegazione passo passo sarebbe un
enigma continuo dall'inizio alla fine, ma prendiamo per esempio I
Promessi Sposi.
Non
è un italiano facile, tutt'altro, ma analizzare sette righe in
un'ora (sic!
Mi è proprio successo! Sette righe, le prime sette dopo
l'introduzione col falso manoscritto, per la precisione) mi pare
un'esagerazione. Non dico di assegnarli per intero come lettura a
casa, come si fa talvolta per le vacanze, ma non sarebbe un'idea
tanto malvagia provare a sacrificare parte degli altri compiti in
favore di un semplice avviso: «Ragazzi, dal giorno tale cominceremo
I
Promessi Sposi,
leggetevi il primo capitolo da soli e poi ne parleremo insieme. Non
preoccupatevi se non capite tutto subito, la discussione è fatta
apposta».
Così
facendo la classe, o almeno la parte della classe che fa i compiti,
non sarebbe completamente a digiuno, e ci sarebbe un bel po' di
materiale di cui parlare. Finita l'analisi del primo capitolo, che
siccome si conosce già un po' il testo avrebbe meno bisogno di
essere rallentata dall'accidentata lettura ad alta voce di cui si è
detto prima, si assegnerebbe il secondo e così via fino al
trentottesimo. Secondo i miei calcoli, con un po' di fortuna e di
collaborazione si finirebbe il libro prima di quanto sia successo
alla mia classe, anche se in effetti ci vuol poco a finirlo prima di
mai!
E così, forse, se l'ipotetico professore si impegnasse a non darsi
allo spoiler selvaggio, I
Promessi Sposi
diventerebbero la storia appassionante che in effetti sono, ma che
non sembrano mai agli studenti, e come valore aggiunto, verrebbero
trattati come si faceva con tanti altri romanzi di quell'epoca, a
puntate. Da qui a sussurrare due parolette alla professoressa
d'inglese dell'ora successiva perché si ricordi di parlare di quando
gente della levatura di Dickens viveva con le dita perennemente
sporche d'inchiostro, facendosi pagare un tanto a riga per episodi
venduti a un penny a fascicolo, il passo è brevissimo. Et
voilà
l'interdisciplinarità, che bello, trallallero trallallà.
Obietterete che mi fido troppo e
che su un “normale” gruppo di una ventina di persone ce ne
sarebbero forse un paio, i più secchioni, pronti a farlo, ma una
volta capito che ne va del proprio voto, oppure che arrivare a scuola
senza aver letto significa essere messi in imbarazzo, forse qualcun
altro si deciderebbe. Nell'età in cui è naturale sentirsi più
insicuri, il giudizio degli altri è un'arma potente, e se fare una
magra figura è spiacevole a cinque anni come a cinquanta, è ancora
peggio intorno ai quindici. Se poi si tratta di un campione umano in
cui chi non sa quel che dovrebbe sapere o non fa quel che dovrebbe
fare è visto come un ribelle e quindi un eroe, non so proprio che
dire. Il mio ben modesto tentativo di essere propositiva oltre che
distruttiva si conclude qui contro la mia volontà: andrei oltre se
avessi nozioni di pedagogia adeguate, ma mi mancano all'appello.
C'è
chi (Roberto Casati, Contro
il colonialismo digitale: istruzioni per continuare a leggere)
propone soluzioni ancora più drastiche, come istituire un mese
della lettura
in cui abbandonare i programmi di tutte le materie e usare le ore di
scuola per proporre, o meglio imporre, agli studenti l'obiettivo di
leggere un libro al giorno. Ecco, in questo già credo di meno. È
un'iniziativa le cui premesse magari sono anche sane (benedett'uomo,
ho dovuto preparare il suo saggio per un esame a cui in quel momento
mi sembrava di tenere più dell'ossigeno e ho francamente adorato il
suo modo di parlare della scuola come di uno spazio protetto, al
sicuro dalle distrazioni che distolgono dalla lettura, che non viene
sfruttato abbastanza), ma le cui conclusioni dimostrano che forse di
scuola e di ragazzi ha capito meno di quel che vuole far credere: un
libro al giorno? Sul serio? Ma non sa che è perfettamente naturale
che ci siano persone che leggono più velocemente e altre più
lentamente? E quali libri, poi? Non sono mica tutti uguali! Ci sono
quelli che si possono benissimo leggere in un giorno come vorrebbe
lui, quelli per cui l'impresa è proprio impossibile, e quelli per
cui si può fare, ma solo a patto di non capirli, e allora è come
non averli letti. Facciamo una cosa: se passa di qui qualcuno che ha
modo di contattare il signor Casati, o addirittura lui in persona
(lasciatemi sognare un po'...), gli faccia sapere che lo sfido io a
leggere un libro in un giorno. Guerra
e Pace.
Che
poi, già l'atto di imporre la medesima lettura a tutti quanti per me
ha un retrogusto d'oppressione che il “poco di zucchero” di Mary
Poppins non arriva nemmeno vicino a cancellare. Le letture che mi
sono state messe sotto il naso come obbligatorie sono quelle che lego
ai ricordi peggiori e che ho compreso di meno. Certe, in particolare,
è come non averle mai viste. E allora lo sforzo di ripetere che
bisogna leggere dove finisce? Preferisco di gran lunga, se proprio il
Ministero dice che si deve, la soluzione di un mio professore delle
superiori (R.I.P.) che ci assegnò due libri alla volta a nostra
scelta presi da liste che non finivano più. Sa già meno di
prigione, e mi permise di godermi Il
Giovane Holden
a tal punto da diventare ossessionata con la canzone scozzese su cui
gioca il titolo originale. L'avrei cantata all'interrogazione, se
avessi potuto. Oh, diamine!
Ce l'ho di nuovo in testa mentre scrivo!
E così, canticchiando
allegramente di campi di segale, per oggi vi dico arrivederci. Via ai
commenti!
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