mercoledì 26 marzo 2014

Divertirsi senza alcol

Nomino tutti i miei lettori. La sfida? Trovare un'alternativa

Dance the night away
Grab somebody, drink a little more
Jennifer Lopez, On the Floor
Pulling up to the parties
Trying to get a little bit tipsy
Ke$ha, Tik Tok

Tutte e due canzoni che quando entrano in testa non ne escono più per un bel po'. Eppure io continuo a chiedermi: perché? Perché perfino nella musica di questi ultimi anni si incita a bere?
Sarà che sono ostinatamente astemia, e non tanto per questioni morali quanto di gusti, dato che devo ancora trovare una qualunque bevanda alcolica che abbia per me una pur minima attrattiva a parte quelle che si tracannano nel villaggio di Hogsmeade, ma per me questa enfasi sul bere, oltre che preoccupante, è anche difficile da capire.
Faccio un'ipotesi: può essere che l'alcol si sia trasformato in una sorta di rituale che ha un po' della cerimonia di passaggio e un po' della prova di forza, del tipo “se tu non bevi non fai parte del gruppo, quindi devi farlo, e una volta che l'hai fatto, sappi che consideriamo chi beve di più migliore di te, quindi vedi di alzare ancora l'asta (o il gomito)”.
Se così è, non posso far altro che sospirare e pensare che forse mi troverei meglio in qualche tribù delle foreste equatoriali che in quella, gigantesca ma pur sempre una tribù, della civiltà occidentale.
Mi direte che se non bevo non posso sapere come funzionano queste dinamiche, e forse è vero, però – anche solo come osservatrice esterna – un'ideuzza posso ben averla anch'io, e questa supposizione mi sembra dimostrata con ragionevole sicurezza dai millantatori post-serata che raccontano, a voce o (peggio) su Facebook: «Che sbronza! Ho bevuto tantissimo! Non mi ricordo più niente!».
Se almeno lo dicessero con un tono pentito, aggiungendoci in fondo un “mai più” (che poi magari non verrà rispettato, ma per stavolta, come con i regali, è il pensiero che conta), non mi verrebbero i brividi a sentire o leggere storie simili. Ma di rimorso non c'è nemmeno l'ombra: questo esemplare umano di solito si vanta di quanto ha bevuto come se fosse una gran bella cosa, un atto di superiorità da esibire pubblicamente, una medaglia al valore. Vale la pena di mettersi in imbarazzo, vale la pena di star male, vale la pena di mettere in pericolo sé e forse anche gli amici, vale la pena anche di avere più buchi di un formaggio svizzero nei ricordi della serata, perché se uno resiste e beve tanto, è come un cacciatore che torna vincitore con una grossa bestia abbattuta caricata in spalla e bisogna celebrarlo come il migliore della combriccola, tributandogli tutti gli onori del caso.
Voglio ben sperare che tra questi onori ci siano anche le cure necessarie ad arginare la vasta gamma di effetti collaterali a lungo termine dell'alcol: solo per fare una lista degli organi del corpo umano che, per personificarli come faceva quel vecchio cartone che insegnava la biologia ai bambini, non ne sarebbero tanto contenti, bisognerebbe andare dal cervello al cuore e dal fegato all'apparato riproduttivo*. Sempre su questa linea, a chi bada alle calorie che assume farà piacere (o non tanto piacere) sapere che, giusto per sceglierne un paio a caso, un mojito ne contiene 202,5 e un daiquiri 247,5**. Adesso la bevuta con la comitiva sembra un filino meno attraente, eh?
Lasciando perdere le considerazioni sulla guida in stato d'ebbrezza che sanno di moralistico ancor più di quanto detto finora, poniamoci una domanda di ordine pratico: ma se a furia di buttar giù alcolici ci si ricorda la serata poco e male, che senso ha averla vissuta? Se devo essere sincera, io quando passo qualche ora piacevole coi miei amici preferisco conservarne la memoria per benino! Perché sostituire i ricordi naturali con quelli artificiali delle foto e dei video da pubblicare sui social network quando, con qualche cocktail in meno, si potrebbero avere entrambi e, come bonus, il materiale risultante non rischierebbe di danneggiare l'immagine pubblica di chi vi compare? Pensateci bene, ve ne prego. Se condividete un album che vi raffigura col bicchiere in mano in due immagini su tre, i vostri amici che passano di lì sorrideranno e vi lasceranno tutti i “mi piace” che vi aspettavate, ma cosa penserebbe di voi una persona che invece vi conosce meno? Siete sicuri di voler passare per gli ubriaconi che di certo non siete solo per aver preso la malaugurata decisione di cliccare un tasto?
Eh, ma non è lo stesso”. Di frasi simili ne ho già sentite a iosa, sia in merito all'alcol sia alla preferenza per le ore piccole (anche quello è un bel mistero: come mai la stessa attività dovrebbe essere meno appassionante alle otto di sera che all'una di notte?). E le domande riprendono a piovere numerose: cosa non è lo stesso? Il divertimento? Le sensazioni?
Per le seconde, se vi piacciono non sarò certo io a dirvi di smettere, e non intendo affermare neppure che un mondo di soli astemi sarebbe perfetto. Un goccio ogni tanto, con moderazione, non uccide nessuno, suppongo, e ci sono anche festività tradizionali, una su tutte il Capodanno, che senza brindisi parrebbero mutilate: se la tradizione dice che tocca bere, o perché dovrebbe portar bene o perché semplicemente lo fanno tutti, pazienza, che lo si faccia pure. Basta non cominciare l'anno nuovo coi postumi!
Ma il primo, se ci penso, mi fa sorgere soltanto un enorme perché? Perché il divertimento non dovrebbe essere lo stesso se non si beve? Con dell'alcol in corpo magari si è più sciolti, più sicuri di sé, e quella è una condizione che cerchiamo tutti quando ci ritroviamo in un gruppo numeroso. Va bene, lo capisco. Ma perché ci si dovrebbe divertire di meno o per nulla senza? Di attività divertenti in cui si resta sobri ce ne sono per tutti i gusti! Se fosse una condizione necessaria per passare del tempo in maniera piacevole, saremmo tutti alcolizzati fin dall'infanzia, no? Eppure vediamo tantissimi bambini perfettamente in grado di farsi delle grasse risate con i loro completamente analcolici giochi.
Sento già le proteste: si cambia, quello che divertiva da piccoli non è altrettanto gradevole da grandi, non puoi pretendere che la soluzione sia una regressione all'infanzia di massa!
No, certo, ma anche gli adulti hanno fior di passatempi che non prevedono di bere. Leggete qualcosa di buffo. Portate fuori il cane. Tirate fuori i giochi di società dalle loro scatole impolverate. Provate la sfida contraria: resistere a un film intero con i vostri amici senza una sola goccia d'alcol nel rinfresco. Se volete l'adrenalina, sperimentate il bungee jumping, e se invece è proprio andare a ballare quel che cercate, non penso che le scuole di danza abbiano tutte un cocktail bar annesso e si faccia lezione da ubriachi.

Sicuramente a qualcuno nessuna di queste alternative sembrerà valida, ma spero che vi rendiate conto che è una lista molto parziale. Vi inviterei gentilmente ad ampliarla, ma non so quanto sarei ascoltata, quindi proviamo in un altro modo e vediamo se funziona.
Conoscerete, immagino, la Neknomination, quel nuovo gioco tanto di moda in cui qualcuno si filma mentre beve una birra (o anche qualcosa di più forte) tutta d'un fiato e poi sfida alcuni amici a fare lo stesso (Wikipedia mi dice due, io avevo capito tre, per poi essere smentita da casi reali in cui ne sono stati coinvolti quattro: pare la storiella della notizia gonfiata dai giornali in cui il numero di cani che avevano sbranato un povero malcapitato aumenta di testata in testata), creando così una catena potenzialmente infinita di bevute che, pare, ha già causato anche diversi morti. Per fortuna c'è già chi si è reso conto del rischio e ha reagito facendone tutta una serie di parodie di livello culturale più o meno alto, dal bere innocue spremute al leggere citazioni dai propri libri preferiti. Voglio provarci anch'io, e stavolta infrangendo i limiti numerici previsti dal gioco originale. La mia sfida: la prossima volta che cercano di coinvolgervi in una serata ad alto tasso alcolico, proponete un'alternativa astemia qualsiasi. Siete tutti nominati! Tre, due, uno, via!

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