mercoledì 19 marzo 2014

Le parole di Piermario

Seconda puntata

Un caloroso saluto a tutti!
Per la gioia dei suoi fan, è tornato a farci visita Piermario, il Panda del Vocabolario!
Pier: Salve a tutti quanti! Ehi, un momento, ho dei fan? Di già?
Be', diciamo che lo spero.
Pier: Allora devo correre a farmi bello!
Accidenti, non ti facevo così vanitoso! Sta' tranquillo, Pier, tu sei uno che piace al naturale, canna di bambù e tutto. E poi non c'è tempo, dobbiamo metterci al lavoro e presentare subito la parola di oggi!
Pier: Okay! Dove ho messo la busta? Ah, eccola qui! Menomale, per un momento ho pensato che l'avessi persa! Ebbene, ora ti faccio il tradizionale conto alla rovescia. Tre... due... uno... apri la busta!
Pier: La parola di oggi è “uggioso”!
E bravo Pier! Sei proprio un assistente coi fiocchi! Vediamo un po' da dove cominciare... Regia, cosa ci proponi?
Pier: Dovevo portarmi l'ombrello?
No, non penso che ti servirà. Soffermiamoci però un attimo sulla scelta della nostra regia, che ha un motivo ben preciso: nella mia esperienza, se chiedo a qualcuno di pensare a una “giornata uggiosa”, quasi invariabilmente nella scenetta piove, e con buone ragioni! La parola al dizionario (Zingarelli 2008):

uggioso agg. 1. (raro, lett.) Ombroso e umido.
2. (fig.) Che dà noia, fastidio o molestia. sin. Fastidioso, molesto, noioso.
3. (lett., raro) Detto di chi prova noia, fastidio.

Notate qualcosa di strano? Non so se valga anche per voi, ma la prima definizione a cui penso è elencata qui come seconda.
Pier: Eppure qui dice che è solo un significato figurato...
Be', non si finisce mai d'imparare! Deve aver preso più piede del senso originario, a un certo punto, perché non penso proprio di essere l'unica che, dovendole mettere in quello che percepisce come ordine d'importanza, come minimo invertirebbe le prime due.
Non mi stupirei affatto di scoprire che tra i miei lettori c'è chi della prima riga non avrebbe nemmeno sospettato l'esistenza! Eppure, se chiedo di provare a descrivere una giornata uggiosa, credo che aggiungere al quadretto un po' di pioggia sia perfettamente naturale anche per chi non sa di doverla rendere “ombrosa e umida”. Forse questo accade semplicemente perché spesso la pioggia ci costringe in casa quando avremmo preferito uscire, ma lasciate che vi faccia rilevare una simpatica coincidenza prima di fare la nostra consueta capatina in Baker Street: “uggioso” è una parola perfetta per esprimere un senso di noia che nemmeno lo stesso termine “noia” riesce a veicolare, e potete capire da voi il perché anche solo ripetendola lentamente e facendo bene attenzione ai suoni che contiene. Intanto ha quella doppia G che, sarei pronta a scommettere, non fa altro che rafforzare il collegamento con la pioGGia, e poi non comincia forse con la U, che forse è la lettera più noiosa dell'alfabeto?
Pier: E perché? Non sapevo che ci fossero lettere noiose!
Allora facciamo questo esperimento. Cosa dici quando ti annoi, Pier?
Pier: Uffa!
Ecco, ci sei cascato. “Uffa”, con la U. Provate a dire ad alta voce: «Uffa, la pioggia! Che giornata uggiosa!». Tutta una U e una G! Abbiamo proprio a che fare con una parola che è la quintessenza della noia, quest'oggi!
Bene, ora torniamo seri e rimettiamoci il cappello di Sherlock.
Pier: Evviva! L'altra volta mi stava proprio bene, non trovi?
Certo, e sono sicura che dall'altra parte dello schermo ci sarà qualche pandina innamorata che si sentirà mancare vedendotelo indossare. Forza, al lavoro!

uggioso derivato di uggia*

Pier: Bell'aiuto...
Calma! Questa è solo la prima impronta, adesso dobbiamo seguire le altre finché non arriviamo al colpevole... ops... all'origine.

uggia [derivazione] discussa; forse dall'aggettivo latino udus, umido (femminile uda) che, nel sermo vulgaris, avrebbe dato origine al sostantivo udia**

Pier: Già meglio, ma mi sa che non ho ancora capito tutto...
Eh, già, caro il mio panda investigatore, qui per arrivare alla fine dell'indagine bisogna cercare un ultimo indizio: che cosa sarà mai questo “sermo vulgaris” grazie al quale oggi, guardando fuori dalla finestra quando piove, possiamo dire che la giornata è uggiosa? Non è complicato come sembra: tirare in causa il latino quando si vuole sembrare acculturati è sovente una buona idea (attenzione a usarlo solo a proposito, però, o potrebbero smascherarvi!), ma in realtà queste due parole non vogliono dire niente di così difficile. Il “sermo vulgaris”, o latino volgare, altro non è che il latino parlato dalla gente nell'Impero Romano. Non significa “volgare” nel senso che ha preso oggi: dicevano tutti le loro brave parolacce, dall'imperatore all'ultimo degli schiavi, inutile negarlo, ma in questo caso si riferisce soltanto alla lingua parlata dal volgo, cioè dal popolo, che non era identica a quella scritta dagli autori che si studiano a scuola e soprattutto non era uguale ovunque. Se prendeste una macchina del tempo e andaste a fare una visitina ai vostri antenati a Roma, per quanto bravi siate col latino delle versioni, non ve la cavereste per la strada. A seconda di dove vi trovate e di chi è il vostro interlocutore, vi sembrerebbe quasi di sentire tanti latini diversi invece di uno, e nessuno di essi somiglierebbe poi molto a quello che vi siete impegnati a memorizzare recitando i vostri rosa, rosae. Ecco, il latino volgare è questo qui: quello di tutti i giorni, pieno di particolarità locali e di errori, che cambiano anche quelli da zona a zona, e sono così tanti che si arriva a un punto in cui creano nuove parole, nuove regole, e infine nuove lingue. Ora, non crediate che questo sia successo da un giorno all'altro: non ci si svegliò un mattino parlando francese, spagnolo o portoghese quando si chiacchierava amabilmente in latino fino alla sera prima! Ci vollero secoli, così tanti che la gente comune nemmeno se ne accorse. Eppure, lento come la famosa goccia di pece che ci mette anni a cadere sorvegliata dagli scienziati che ne studiano l'altissima densità, il cambiamento avvenne, ed eccoci qui oggi col nostro italiano da difendere e il nostro vocabolo del giorno con la sua storia lunghissima e interessante: “uggioso” da “uggia”, che a sua volta deriva da “udia” (che era una parola che nessuno scrittore rispettabile avrebbe utilizzato), che ha una D diventata poi una doppia G per motivi che sarebbero, quelli sì, davvero uggiosi da spiegare. Vi basti sapere che i suoni pian piano cambiano quando diventano un po' ostici da pronunciare e la gente regolarmente li sbaglia, magari in modi diversi a seconda dell'accento.
E con tutto ciò, non siamo nemmeno sicuri che le cose siano andate davvero così! Quel “discussa” all'inizio, purtroppo, ci dice che questo è un giallo in cui la soluzione è ancora in forse.
Pier: Alla faccia dell'indizio! Questo qui è un romanzo intero!
Stupito, Pier? Ci farai l'abitudine: ci sono occasioni in cui mettersi sulle tracce dell'etimo di una parola non somiglia tanto a un'indagine di Holmes quanto a una matrioska, quella bambola russa che ti sembra di non finire mai di aprire, e arrivarci è come trovare la più piccola.
Pier: Quanta pazienza!
Ma tu ne hai più che abbastanza, non è vero?
Pier: Solo se poi mi prometti tanto bambù!
Certo! Te lo meriti tutto, ma solo alla fine della puntata. Manca ancora qualcosa, non trovi?
Pier: Sì, ma cosa? Ah, ci sono! Facciamo un bell'esempio!
Giusto! Vediamo un po' a quale pezzo da novanta possiamo chiedere aiuto questa volta...

Il castello dell'innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d'un poggio che sporge in fuori da un'aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo XX***

Pier: Santo cielo... non dico quello che penso, altrimenti addio bambù!
Oh, non ti preoccupare, il tuo spuntino è al sicuro, questo è un altro mostro sacro degli studenti di tutti i tempi e non c'è nulla di così terribile nello spaventarsi più per il linguaggio in cui è descritto il castello che per l'edificio stesso. O lo si ama o lo si odia, e se lo si ama, di solito si comincia a farlo ben dopo la scuola! È capitato a tutti!
Be', direi che il nostro signor autore qui ha inteso la protagonista di oggi nel senso numero uno: non penso proprio che una valle possa essere noiosa, e anche se potesse, dubito che lo farebbe notare. Questo posto deve far venire i brividi, non far sbadigliare!
Pier: E funziona! Brr... mi sembra di sentire l'umidità della nostra parola nelle ossa! Passami il bambù, così mi consolo!
Sicuro, eccotelo qui!
Mentre il caro Pier si riprende dallo spavento mangiucchiando, tiro io le somme al posto suo: avete capito bene quando e come si usa il nostro vocabolo? Vi è venuta almeno un po' di voglia di fare un nodo al fazzoletto per ricordarvi di pronunciarlo ogni tanto? Provateci, la prossima volta che piove! A presto!
Pier: Alla prossima parola, amici! Ciao!

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