Riflessioni-fiume sull'accusa più di moda del momento
Saluti in tutte le lingue del mondo a
chi passa di qui.
Oggi si parla di un altro di quei temi
da trattare con due o tre paia di guanti, il razzismo. Tocca stare
attenti a scegliere le parole giuste, politicamente corrette, e non è
un lavoro facile. Spero di riuscirci.
La prima domanda che vorrei porre a voi
e a me stessa è questa: da dove nasce il razzismo? Attenzione, non
sto chiedendo cosa sia. Se date del razzista a qualcuno, a torto o a
ragione, presumo che lo facciate sapendo cosa vuol dire.
Vi siete mai soffermati, invece, a
chiedervi perché un razzista sia tanto pieno d’odio verso
questa o quella razza? Accidenti! “Razza” no, ché è già una
parola razzista. “Etnia”. Così va meglio? Dunque, riprendiamo il
filo… Ecco, dicevamo: non sto assolutamente giustificando il
razzismo, ma riconoscerete anche voi che non può spuntare da solo,
come un fungo, giusto? Da qualcosa deve pur nascere. Ci sono tante
altre brutte cose al mondo, e poterne individuare le radici non le
rende per forza giuste, è solo un esercizio interessante e direi
anche necessario per comprenderle meglio. Farei una bella digressione
sul principio “nulla si crea e nulla si distrugge”, ma non è
proprio il mio campo di studi, per cui evito.
Per esempio, immaginate una persona che si senta ripetere più e più
volte (magari durante l’infanzia, quando quel che s’impara resta
molto più impresso) che gli appartenenti a una certa categoria sono
tutti cattivi, o stupidi, o hanno chissà quale altra caratteristica
negativa, poi tenda per tutta la vita a frequentare gente che la
pensa allo stesso modo, riducendo quindi di parecchio la probabilità
di sentire un parere opposto, e per di più non arrivi mai a
incontrare faccia a faccia un appartenente a quel gruppo, magari
perché nella città dove vive non ce ne sono, o perché di solito
gravitano verso un quartiere dove non mette mai piede. Non pensate
che questa persona continuerà a sostenere le idee razziste che le
sono state comunicate e che tutto il suo ambiente non fa altro che
confermare?
Poteva
avere la curiosità di andare a verificare di persona, direte voi. E
va bene, è vero, aggiungete una tacca al vostro segnapunti. Ma certe
idee, inculcate in un certo modo, tengono a freno anche quella.
Perché uno dovrebbe andare volontariamente a cercare degli individui
che tutti gli hanno descritto come pericolosi, per esempio? Se ne
terrà ben alla larga temendo per la propria incolumità, se ha un
minimo d'istinto di sopravvivenza! Poi magari sono in generale
innocui come gattini, ma ciò non toglie che il nostro uomo (o la
nostra donna, per non essere sessisti, altra questione che affronterò
en passant
più avanti) vedrà in loro delle tigri dai denti a sciabola e non vi
si avvicinerà.
Sembra uno scenario strano, oggi che per incrociare gente delle più
svariate nazionalità basta uscire a far due passi, ma un tempo non
era poi così inconcepibile. Quando su una grossa fetta dell'Africa
di tutte le mappe campeggiava la scritta “hic sunt leones” e la
Cina era una meta per Marco Polo e pochi altri, le opinioni sbagliate
sugli altri popoli si diffondevano facilmente, e più si
diffondevano, più si gonfiavano a dismisura, come succede per tutte
le notizie riferite a voce. Alcune erano decisamente negative, e se
qualcuno le ripetesse adesso riceverebbe cascate d'accuse di
razzismo, parola che peraltro a quei tempi non esisteva ancora;
altre, a leggerle ai nostri giorni, fanno sbellicare dalle risate per
quanto sono inverosimili. Di qualunque segno fossero, però, queste
idee sempre più esagerate sugli abitanti dei Paesi lontani avevano
tutte qualcosa in comune: si potevano confermare o sbugiardare solo a
patto d'intraprendere viaggi rischiosi e altamente dispendiosi in
termini di soldi, tempo ed energie, un prezzo che non tutti volevano
o potevano pagare. E così molta gente parlava solo per sentito dire
e si rassegnava a non toccare mai con mano, credendo in perfetta
buona fede all'esistenza di “uomini con la coda” (che in realtà
altro non erano che scimmie) e di società in cui tutto sembrava
architettato apposta per essere, punto per punto, il rovescio della
propria.
Conclusione numero uno: il razzismo, in alcuni casi, può nascere da
informazioni scorrette o distorte ricevute da altri. Se poi la
distorsione avvenga di proposito o meno, è tutta un'altra questione
che avrebbe posto in un discorso sul ruolo dei media nell'opinione
pubblica, non qui. Senza un'altra versione della verità con cui
confrontarle, secondo voi è una grossa colpa crederci? Se io vi
parlo di un oggetto che non avete mai visto e nel descriverlo, perché
sto mentendo o perché mi ricordo male, vi dico che è rosso quando
invece è blu, voi non penserete forse che sia rosso finché non ne
vedrete uno con i vostri occhi in tutto il suo ceruleo splendore?
(Sì, “ceruleo” sarà una delle parole del nostro Piermario, lo
prometto!)
Finita la parentesi storica, proviamo adesso con un altro scenario,
quello in cui l'esperienza diretta invece c'è, e facciamolo con un
piccolo esperimento mentale. Ci aiuteremo con dei simpatici schemini
che ho realizzato con le mie abilissime mani (abili più o meno
quanto quelle di una bimba dell'asilo!) grazie ad un avanzatissimo
programma di grafica (leggasi: Paint), dando fondo a tutte le mie
(inesistenti) capacità artistiche che farebbero diventare verde
Michelangelo (d'invidia? No, perché sta per vomitare!). Ammirate.
Dunque: prendiamo un campione di trenta individui appartenenti a una
certa razza... etnia... oh, insomma, a un gruppo con caratteristiche
fisiche, storiche e linguistiche comuni.
Ma se sono tutti simili, vi chiederete, perché ci sono due tipi di
faccine? Presto detto: le quindici chiare che sorridono rappresentano
individui che possiamo sbrigativamente definire “buoni” e quelle
scure dall'aspetto triste sono quelli altrettanto schematicamente
detti “cattivi”.
E allora? Passeranno il tempo a darsi l'un l'altro altissimi esempi
di vizio e di virtù? Nossignori. Semmai li daranno a questi qui:
Molto creativamente, chiameremo i tizi il signor Verdi, il signor
Bianchi e il signor Rossi. Non cercate slanci improvvisi di
patriottismo dove non ci sono, la scelta dei colori è dovuta solo
alla disponibilità dei tre cognomi.
Guardate che faccette neutre. Hanno la bocca piatta, non provano
alcuna emozione. Perché? Perché, almeno per ora, non sanno
assolutamente nulla di chi stanno per incontrare. Non hanno mai
conosciuto un loro rappresentante e non hanno mai visto, né letto,
né sentito alcunché sulla loro categoria. Zero assoluto. Tutto
quello che sapranno in proposito sarà quello che impareranno nel
corso dell'esperimento, passando del tempo con loro, ponendo domande,
confrontandosi come riterranno più opportuno. Non una virgola di
più.
Sento già le vostre obiezioni: è impossibile! Oggi basta una
ricerca su Google per avere un sacco d'informazioni sulla punta delle
dita! Da dove vengono, per essere così isolati? Be', in tutta
onestà, la risposta è che non lo so. Se volete, per divertirci un
po', possiamo far finta che i nostri trenta non siano di un altro
Paese, ma di un altro pianeta: alieni in grado di comunicare con noi
umani di cui solo qualche cervellone della NASA per ora sa qualcosa.
Siccome né Verdi, né Bianchi né Rossi lavorano per la NASA, la
loro ignoranza è giustificata.
E ora fate bene attenzione al prossimo passo: non metteremo i nostri
eroi insieme a tutto il campione, anche perché nel riquadro bianco
che rappresenta la stanza non c'è più molto spazio, ma prima di
farli incontrare divideremo il gruppo in sottogruppi da dieci, li
metteremo in tre camere non comunicanti e faremo entrare uno dei
signori in ciascuna.
Il signor Verdi conoscerà cinque individui buoni e cinque cattivi:
Il signor Bianchi, fortunello, ne incontrerà ben nove buoni e uno
solo cattivo:
Al signor Rossi, poveretto, toccherà condividere la stanza con
quelli che restano, nove cattivi e uno solo buono che a ben vedere
avrà le sue difficoltà a sopravvivere nella tana dei lupi.
Lasciamo loro un po' di tempo per fare amicizia, oppure no, a seconda
dei casi.
Pensate
che i nostri coraggiosi volontari usciranno di lì con la stessa
impressione? Io la vedo difficile. Probabilmente il signor Verdi sarà
quello con più problemi a formarsi un'opinione definita, mentre il
signor Bianchi, in quella che apparirà come un'ammirevole
dimostrazione di apertura mentale, avrà un parere decisamente
tendente al positivo, e il signor Rossi sarà prontissimo a
esclamare, da brutto razzista: «Quelli
lì sono tutti cattivi!». Non è così, ma se chiamato a esprimersi
in fretta, senza rifletterci troppo, chi credete che gli salterà in
testa per primo, il singolo o la maggioranza?
Tornando al mondo reale, non
credete che vedere il buono negli altri diventi un tantino più arduo
se s'incontrano esempi per la maggior parte negativi? Se s'impara per
esperienza ad associare un'etnia a un certo stereotipo non proprio
simpatico, non vuol dire che tutti quelli che vi appartengono
corrispondano a quel modello, ma solo che si ha la gran sfortuna di
non trovare mai, o quasi, qualcuno che lo smentisca. Per quante
bravissime persone ci possano essere in una data comunità, se per
uno scherzo del destino gli esponenti che ne conosco io non lo sono,
dovrò sforzarmi attivamente di rammentare almeno ogni tanto a me
stessa che ci dovrà pur essere, da qualche parte, qualcuno che si
comporta meglio, altrimenti cadrò nello stesso errore del signor
Rossi, che non sa che nelle altre due stanze c'era un totale di ben
quattordici altri alieni buoni, e sul loro pianeta chissà quanti ne
sono rimasti!
Conclusione numero due: il
razzismo può anche essere questione di... probabilità. Se io faccio
molte esperienze negative e poche positive, la mia idea tenderà ad
essere negativa, anche se nel complesso il gruppo in questione non
brillerebbe né nel bene né nel male. Mi brucio da piccola?
Ricorderò facilmente che “il fuoco brucia” e probabilmente
continuerò per un po' ad averne paura anche se la mamma mi ripete
che “il fuoco serve anche a cucinare tante cose squisite”.
Conclusione numero tre: il
razzismo è e resta una gran brutta bestia, ma i meccanismi che lo
fanno nascere sono umani. Non c'è nulla di così innaturale né nel
credere in buona fede a una notizia falsa, né nell'avere una
malasorte degna di Paperino. Spiace dirlo, ma a me sembra proprio che
sia così.
Ora, però, vorrei sollevare una
seconda questione, non tanto sulla natura del fenomeno, ma sulle
accuse di razzismo, sessismo e un sacco di altri “-ismi” che si
sentono volare appena si accende la TV. Quando sono legittime e
quando, invece, si usano come scudo per proteggere una categoria da
critiche di tutt'altro tipo, fino a farla diventare intoccabile?
Inventiamoci una persona di
colore. Si chiama Azizi, ed è meglio che vi confessi subito che il
suo nome viene da Nomix. Se passa di qui qualche suo
omonimo, lo sostituisca mentalmente con quello di qualcun altro, se
crede.
Passa di lì il tizio A e lo
insulta senz'altro motivo che il colore della sua pelle, un motivo
che, sarà bene ribadirlo, per me non è valido. Concluderete
certamente che A è razzista.
Mettiamo il caso che il giorno
dopo Azizi debba parlare in pubblico e commetta un errore. Non un
errore di grammatica, attenzione: per essere la sua seconda lingua,
Azizi parla benissimo l'italiano, con pochissimo accento e
(meraviglia delle meraviglie!) tutti i congiuntivi a posto. Sto
parlando di un altro genere di errore, quello che volete voi. Magari
cita un dato statistico sbagliato, oppure offende qualcuno senza
volerlo. Un tipo di errore, insomma, che sia completamente scollegato
dalla sua provenienza. Dopo il discorso, il signor B parla male di
lui, e di nuovo vi prego di fare attenzione a un particolare: costui
accusa Azizi di essere un pessimo oratore che parla a sproposito, e
nel suo attacco non si nominano mai il suo aspetto né le sue
origini. Non vorrei che immaginaste una rabbiosa arringa in cui lo si
invita non troppo gentilmente a tornare al suo Paese, perché non è
il nostro caso. Secondo voi, B è razzista?
Adesso inventiamoci una donna, e
per sicurezza inventiamocela italiana. Posso affrontare solo un
problema alla volta. Chiamiamola... Adriana. Non ho nessun'amica
intima che si chiami così, per cui non rischio di offendere qualcuno
a me vicino. Se tra i miei lettori casuali c'è qualche Adriana, come
sopra. Chiamatela Zita.
Adriana non se la sta passando
affatto bene. Qualche collega accoglie il suo passaggio con sonori
fischi e il suo superiore, il signor C, la sottovaluta per
nessun'altra ragione che il suo doppio cromosoma X, trovando scuse
per rimproverarla che farebbe passare sotto silenzio nel caso dei
suoi pari maschi. Converrete che questo è un ambiente davvero
sessista.
Sarete felici di sapere, allora,
che Adriana ben presto si licenzia. Il secondo impiego che trova,
però, non le piace affatto, e non per le persone con cui ha a che
fare, ma proprio perché non è molto tagliata. Non è altrettanto
competente nel nuovo campo che nel vecchio, e stavolta le lavate di
capo del datore di lavoro, il signor D, sono giustificate: le sue
performance sono oggettivamente cattive, non perché è una donna, ma
perché questa è una mansione che non sa svolgere bene. Trovate che
il signor D sia sessista?
E ora, apriti cielo!,
inventiamoci anche un omosessuale. Stavolta coi nomi sono veramente
in crisi, per cui chiamiamolo come un gay dichiarato molto famoso,
Freddie. Liberissimi di immaginarvelo con la faccia di Freddie
Mercury oppure no, a voi la scelta. Non è la stessa persona, è solo
un Freddie a caso a cui altrettanto per caso piacciono gli uomini.
Freddie ha, o meglio aveva, un
amico, il signor E. Costui scopre che Freddie è gay e taglia tutti i
ponti. Brillantissima deduzione: E è omofobo.
Tra i suoi tanti conoscenti ce
n'è un altro, F, che non si è mai fatto problemi. Lo sa e
continuano allegramente a vedersi e divertirsi un mondo. Un brutto
giorno, però, Freddie gli fa un torto che F non è disposto a
perdonare e anche questa bella amicizia finisce. F è omofobo?
Probabilmente, se sono stata
abbastanza brava e mi sono guadagnata delle gran pacche sulle spalle
immaginarie da Demostene, Cicerone e tutti i loro amichetti oratori,
avrete risposto mentalmente che i signori B, D e F non si sono
macchiati delle tre accuse del momento.
Eppure, eppure... la mia
impressione è che di gente pronta a puntare lo stesso il dito ce ne
sia a iosa. Voi ne conoscete? Se sì, o anche se no, è il vostro
momento. Passo e chiudo.
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