giovedì 13 marzo 2014

Razzismo & co.

Riflessioni-fiume sull'accusa più di moda del momento

Saluti in tutte le lingue del mondo a chi passa di qui.
Oggi si parla di un altro di quei temi da trattare con due o tre paia di guanti, il razzismo. Tocca stare attenti a scegliere le parole giuste, politicamente corrette, e non è un lavoro facile. Spero di riuscirci.
La prima domanda che vorrei porre a voi e a me stessa è questa: da dove nasce il razzismo? Attenzione, non sto chiedendo cosa sia. Se date del razzista a qualcuno, a torto o a ragione, presumo che lo facciate sapendo cosa vuol dire.
Vi siete mai soffermati, invece, a chiedervi perché un razzista sia tanto pieno d’odio verso questa o quella razza? Accidenti! “Razza” no, ché è già una parola razzista. “Etnia”. Così va meglio? Dunque, riprendiamo il filo… Ecco, dicevamo: non sto assolutamente giustificando il razzismo, ma riconoscerete anche voi che non può spuntare da solo, come un fungo, giusto? Da qualcosa deve pur nascere. Ci sono tante altre brutte cose al mondo, e poterne individuare le radici non le rende per forza giuste, è solo un esercizio interessante e direi anche necessario per comprenderle meglio. Farei una bella digressione sul principio “nulla si crea e nulla si distrugge”, ma non è proprio il mio campo di studi, per cui evito.
Per esempio, immaginate una persona che si senta ripetere più e più volte (magari durante l’infanzia, quando quel che s’impara resta molto più impresso) che gli appartenenti a una certa categoria sono tutti cattivi, o stupidi, o hanno chissà quale altra caratteristica negativa, poi tenda per tutta la vita a frequentare gente che la pensa allo stesso modo, riducendo quindi di parecchio la probabilità di sentire un parere opposto, e per di più non arrivi mai a incontrare faccia a faccia un appartenente a quel gruppo, magari perché nella città dove vive non ce ne sono, o perché di solito gravitano verso un quartiere dove non mette mai piede. Non pensate che questa persona continuerà a sostenere le idee razziste che le sono state comunicate e che tutto il suo ambiente non fa altro che confermare?
Poteva avere la curiosità di andare a verificare di persona, direte voi. E va bene, è vero, aggiungete una tacca al vostro segnapunti. Ma certe idee, inculcate in un certo modo, tengono a freno anche quella. Perché uno dovrebbe andare volontariamente a cercare degli individui che tutti gli hanno descritto come pericolosi, per esempio? Se ne terrà ben alla larga temendo per la propria incolumità, se ha un minimo d'istinto di sopravvivenza! Poi magari sono in generale innocui come gattini, ma ciò non toglie che il nostro uomo (o la nostra donna, per non essere sessisti, altra questione che affronterò en passant più avanti) vedrà in loro delle tigri dai denti a sciabola e non vi si avvicinerà.
Sembra uno scenario strano, oggi che per incrociare gente delle più svariate nazionalità basta uscire a far due passi, ma un tempo non era poi così inconcepibile. Quando su una grossa fetta dell'Africa di tutte le mappe campeggiava la scritta “hic sunt leones” e la Cina era una meta per Marco Polo e pochi altri, le opinioni sbagliate sugli altri popoli si diffondevano facilmente, e più si diffondevano, più si gonfiavano a dismisura, come succede per tutte le notizie riferite a voce. Alcune erano decisamente negative, e se qualcuno le ripetesse adesso riceverebbe cascate d'accuse di razzismo, parola che peraltro a quei tempi non esisteva ancora; altre, a leggerle ai nostri giorni, fanno sbellicare dalle risate per quanto sono inverosimili. Di qualunque segno fossero, però, queste idee sempre più esagerate sugli abitanti dei Paesi lontani avevano tutte qualcosa in comune: si potevano confermare o sbugiardare solo a patto d'intraprendere viaggi rischiosi e altamente dispendiosi in termini di soldi, tempo ed energie, un prezzo che non tutti volevano o potevano pagare. E così molta gente parlava solo per sentito dire e si rassegnava a non toccare mai con mano, credendo in perfetta buona fede all'esistenza di “uomini con la coda” (che in realtà altro non erano che scimmie) e di società in cui tutto sembrava architettato apposta per essere, punto per punto, il rovescio della propria.
Conclusione numero uno: il razzismo, in alcuni casi, può nascere da informazioni scorrette o distorte ricevute da altri. Se poi la distorsione avvenga di proposito o meno, è tutta un'altra questione che avrebbe posto in un discorso sul ruolo dei media nell'opinione pubblica, non qui. Senza un'altra versione della verità con cui confrontarle, secondo voi è una grossa colpa crederci? Se io vi parlo di un oggetto che non avete mai visto e nel descriverlo, perché sto mentendo o perché mi ricordo male, vi dico che è rosso quando invece è blu, voi non penserete forse che sia rosso finché non ne vedrete uno con i vostri occhi in tutto il suo ceruleo splendore? (Sì, “ceruleo” sarà una delle parole del nostro Piermario, lo prometto!)
Finita la parentesi storica, proviamo adesso con un altro scenario, quello in cui l'esperienza diretta invece c'è, e facciamolo con un piccolo esperimento mentale. Ci aiuteremo con dei simpatici schemini che ho realizzato con le mie abilissime mani (abili più o meno quanto quelle di una bimba dell'asilo!) grazie ad un avanzatissimo programma di grafica (leggasi: Paint), dando fondo a tutte le mie (inesistenti) capacità artistiche che farebbero diventare verde Michelangelo (d'invidia? No, perché sta per vomitare!). Ammirate.
Dunque: prendiamo un campione di trenta individui appartenenti a una certa razza... etnia... oh, insomma, a un gruppo con caratteristiche fisiche, storiche e linguistiche comuni.
Ma se sono tutti simili, vi chiederete, perché ci sono due tipi di faccine? Presto detto: le quindici chiare che sorridono rappresentano individui che possiamo sbrigativamente definire “buoni” e quelle scure dall'aspetto triste sono quelli altrettanto schematicamente detti “cattivi”.
E allora? Passeranno il tempo a darsi l'un l'altro altissimi esempi di vizio e di virtù? Nossignori. Semmai li daranno a questi qui:

Molto creativamente, chiameremo i tizi il signor Verdi, il signor Bianchi e il signor Rossi. Non cercate slanci improvvisi di patriottismo dove non ci sono, la scelta dei colori è dovuta solo alla disponibilità dei tre cognomi.
Guardate che faccette neutre. Hanno la bocca piatta, non provano alcuna emozione. Perché? Perché, almeno per ora, non sanno assolutamente nulla di chi stanno per incontrare. Non hanno mai conosciuto un loro rappresentante e non hanno mai visto, né letto, né sentito alcunché sulla loro categoria. Zero assoluto. Tutto quello che sapranno in proposito sarà quello che impareranno nel corso dell'esperimento, passando del tempo con loro, ponendo domande, confrontandosi come riterranno più opportuno. Non una virgola di più.
Sento già le vostre obiezioni: è impossibile! Oggi basta una ricerca su Google per avere un sacco d'informazioni sulla punta delle dita! Da dove vengono, per essere così isolati? Be', in tutta onestà, la risposta è che non lo so. Se volete, per divertirci un po', possiamo far finta che i nostri trenta non siano di un altro Paese, ma di un altro pianeta: alieni in grado di comunicare con noi umani di cui solo qualche cervellone della NASA per ora sa qualcosa. Siccome né Verdi, né Bianchi né Rossi lavorano per la NASA, la loro ignoranza è giustificata.
E ora fate bene attenzione al prossimo passo: non metteremo i nostri eroi insieme a tutto il campione, anche perché nel riquadro bianco che rappresenta la stanza non c'è più molto spazio, ma prima di farli incontrare divideremo il gruppo in sottogruppi da dieci, li metteremo in tre camere non comunicanti e faremo entrare uno dei signori in ciascuna.
Il signor Verdi conoscerà cinque individui buoni e cinque cattivi:

Il signor Bianchi, fortunello, ne incontrerà ben nove buoni e uno solo cattivo:

Al signor Rossi, poveretto, toccherà condividere la stanza con quelli che restano, nove cattivi e uno solo buono che a ben vedere avrà le sue difficoltà a sopravvivere nella tana dei lupi.

Lasciamo loro un po' di tempo per fare amicizia, oppure no, a seconda dei casi.
Pensate che i nostri coraggiosi volontari usciranno di lì con la stessa impressione? Io la vedo difficile. Probabilmente il signor Verdi sarà quello con più problemi a formarsi un'opinione definita, mentre il signor Bianchi, in quella che apparirà come un'ammirevole dimostrazione di apertura mentale, avrà un parere decisamente tendente al positivo, e il signor Rossi sarà prontissimo a esclamare, da brutto razzista: «Quelli lì sono tutti cattivi!». Non è così, ma se chiamato a esprimersi in fretta, senza rifletterci troppo, chi credete che gli salterà in testa per primo, il singolo o la maggioranza?
Tornando al mondo reale, non credete che vedere il buono negli altri diventi un tantino più arduo se s'incontrano esempi per la maggior parte negativi? Se s'impara per esperienza ad associare un'etnia a un certo stereotipo non proprio simpatico, non vuol dire che tutti quelli che vi appartengono corrispondano a quel modello, ma solo che si ha la gran sfortuna di non trovare mai, o quasi, qualcuno che lo smentisca. Per quante bravissime persone ci possano essere in una data comunità, se per uno scherzo del destino gli esponenti che ne conosco io non lo sono, dovrò sforzarmi attivamente di rammentare almeno ogni tanto a me stessa che ci dovrà pur essere, da qualche parte, qualcuno che si comporta meglio, altrimenti cadrò nello stesso errore del signor Rossi, che non sa che nelle altre due stanze c'era un totale di ben quattordici altri alieni buoni, e sul loro pianeta chissà quanti ne sono rimasti!
Conclusione numero due: il razzismo può anche essere questione di... probabilità. Se io faccio molte esperienze negative e poche positive, la mia idea tenderà ad essere negativa, anche se nel complesso il gruppo in questione non brillerebbe né nel bene né nel male. Mi brucio da piccola? Ricorderò facilmente che “il fuoco brucia” e probabilmente continuerò per un po' ad averne paura anche se la mamma mi ripete che “il fuoco serve anche a cucinare tante cose squisite”.
Conclusione numero tre: il razzismo è e resta una gran brutta bestia, ma i meccanismi che lo fanno nascere sono umani. Non c'è nulla di così innaturale né nel credere in buona fede a una notizia falsa, né nell'avere una malasorte degna di Paperino. Spiace dirlo, ma a me sembra proprio che sia così.
Ora, però, vorrei sollevare una seconda questione, non tanto sulla natura del fenomeno, ma sulle accuse di razzismo, sessismo e un sacco di altri “-ismi” che si sentono volare appena si accende la TV. Quando sono legittime e quando, invece, si usano come scudo per proteggere una categoria da critiche di tutt'altro tipo, fino a farla diventare intoccabile?
Inventiamoci una persona di colore. Si chiama Azizi, ed è meglio che vi confessi subito che il suo nome viene da Nomix. Se passa di qui qualche suo omonimo, lo sostituisca mentalmente con quello di qualcun altro, se crede.
Passa di lì il tizio A e lo insulta senz'altro motivo che il colore della sua pelle, un motivo che, sarà bene ribadirlo, per me non è valido. Concluderete certamente che A è razzista.
Mettiamo il caso che il giorno dopo Azizi debba parlare in pubblico e commetta un errore. Non un errore di grammatica, attenzione: per essere la sua seconda lingua, Azizi parla benissimo l'italiano, con pochissimo accento e (meraviglia delle meraviglie!) tutti i congiuntivi a posto. Sto parlando di un altro genere di errore, quello che volete voi. Magari cita un dato statistico sbagliato, oppure offende qualcuno senza volerlo. Un tipo di errore, insomma, che sia completamente scollegato dalla sua provenienza. Dopo il discorso, il signor B parla male di lui, e di nuovo vi prego di fare attenzione a un particolare: costui accusa Azizi di essere un pessimo oratore che parla a sproposito, e nel suo attacco non si nominano mai il suo aspetto né le sue origini. Non vorrei che immaginaste una rabbiosa arringa in cui lo si invita non troppo gentilmente a tornare al suo Paese, perché non è il nostro caso. Secondo voi, B è razzista?
Adesso inventiamoci una donna, e per sicurezza inventiamocela italiana. Posso affrontare solo un problema alla volta. Chiamiamola... Adriana. Non ho nessun'amica intima che si chiami così, per cui non rischio di offendere qualcuno a me vicino. Se tra i miei lettori casuali c'è qualche Adriana, come sopra. Chiamatela Zita.
Adriana non se la sta passando affatto bene. Qualche collega accoglie il suo passaggio con sonori fischi e il suo superiore, il signor C, la sottovaluta per nessun'altra ragione che il suo doppio cromosoma X, trovando scuse per rimproverarla che farebbe passare sotto silenzio nel caso dei suoi pari maschi. Converrete che questo è un ambiente davvero sessista.
Sarete felici di sapere, allora, che Adriana ben presto si licenzia. Il secondo impiego che trova, però, non le piace affatto, e non per le persone con cui ha a che fare, ma proprio perché non è molto tagliata. Non è altrettanto competente nel nuovo campo che nel vecchio, e stavolta le lavate di capo del datore di lavoro, il signor D, sono giustificate: le sue performance sono oggettivamente cattive, non perché è una donna, ma perché questa è una mansione che non sa svolgere bene. Trovate che il signor D sia sessista?
E ora, apriti cielo!, inventiamoci anche un omosessuale. Stavolta coi nomi sono veramente in crisi, per cui chiamiamolo come un gay dichiarato molto famoso, Freddie. Liberissimi di immaginarvelo con la faccia di Freddie Mercury oppure no, a voi la scelta. Non è la stessa persona, è solo un Freddie a caso a cui altrettanto per caso piacciono gli uomini.
Freddie ha, o meglio aveva, un amico, il signor E. Costui scopre che Freddie è gay e taglia tutti i ponti. Brillantissima deduzione: E è omofobo.
Tra i suoi tanti conoscenti ce n'è un altro, F, che non si è mai fatto problemi. Lo sa e continuano allegramente a vedersi e divertirsi un mondo. Un brutto giorno, però, Freddie gli fa un torto che F non è disposto a perdonare e anche questa bella amicizia finisce. F è omofobo?
Probabilmente, se sono stata abbastanza brava e mi sono guadagnata delle gran pacche sulle spalle immaginarie da Demostene, Cicerone e tutti i loro amichetti oratori, avrete risposto mentalmente che i signori B, D e F non si sono macchiati delle tre accuse del momento.
Eppure, eppure... la mia impressione è che di gente pronta a puntare lo stesso il dito ce ne sia a iosa. Voi ne conoscete? Se sì, o anche se no, è il vostro momento. Passo e chiudo.

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