martedì 23 dicembre 2014

Finger knitting, che passione!

Un'idea regalo dell'ultimo minuto

Saluti a tutti quanti e, visto che siamo nel periodo, buone feste a chi le celebra. A proposito di feste, ormai è quasi Natale: avete già pensato ai regali? Come sarebbe a dire, no? Non preoccupatevi, la vostra gatta di biblioteca è qui per salvare la situazione! Oggi vi parlo di una tecnica semplicissima e divertente che ho trovato per puro caso in giro per il Web: il finger knitting, che per chi non ci sa fare con l'inglese significa lavorare a maglia con le dita. Proprio così: con queste istruzioni potrete confezionare facilmente, in una pigra serata invernale, una simpatica sciarpa ad anello senza toccare neanche un ferro, ma solo con le mani! Se avete una parente o amica freddolosa, è il regalo perfetto (ma anche se non l'avete: io ne ho realizzata una per la persona meno freddolosa che conosco!).
OCCORRENTE:
Un gomitolo di lana molto spessa o, meglio ancora, due un po' più sottili
Un paio di forbici
Opzionale: quattro penne o matite
Le vostre dita
Tanta pazienza
COME SI FA:
Premessa: le istruzioni sono scritte presumendo che siate destrorsi. Suppongo che a un mancino possa essere più comodo scambiare i ruoli delle due mani, ma non so se o come cambi il procedimento in questo caso. Inoltre, da qui in poi si darà sempre per scontato che abbiate scelto di usare due fili insieme, ma la procedura con uno solo è identica.
Per prima cosa, togliete eventuali anelli dalla mano sinistra, o il filo vi si potrebbe incastrare. Trovate il famigerato bandolo della matassa e legatevelo al pollice sinistro con un nodo scorsoio semplice. Cercate di non fare il nodo proprio all'estremo, ma di lasciare un po' di filo inutilizzato. Sembra senza importanza, ma se non lo fate ora avrete problemi dopo: quei centimetri che paiono inutili all'inizio serviranno alla fine. Afferrate i fili tra il pollice e la base delle altre dita.


Assicuratevi di aver svolto un po' i gomitoli (sarà un gesto che dovrete ripetere più volte: si lavora meglio se non tirano troppo) e prendete nella mano destra i due fili contemporaneamente. Da qui in poi li userete sempre insieme, come se fossero uno solo: per questo un gomitolo spesso e due più sottili si equivalgono. Fateli passare sopra l'indice, sotto il medio, sopra l'anulare e sotto il mignolo.



A questo punto avvolgete i fili intorno al mignolo e tornate indietro: sotto l'anulare, sopra il medio e sotto l'indice.



Noioso? Complicato? No problem, una delle parti peggiori è appena finita. Fate passare i fili sopra le dita, tutte e quattro, senza fare altri slalom, e lasciateli momentaneamente andare. Per non fare confusione, assicuratevi che la parte di filo che avete fatto passare tra le dita si trovi proprio alla base, più in basso che potete, e la parte appoggiata sopra un po' più in alto. Abbassare i fili sarà un altro di quei gesti che vi ritroverete a compiere spesso. Mi raccomando, fatelo: rende tutto più chiaro e previene molti errori.

Ora, partendo dal mignolo, sollevate il filo in basso e sfilatevelo da ogni dito facendolo accavallare su quello in alto, di fatto scambiandoli. Aiutatevi in questo passaggio piegando il dito di turno, così eviterete che il punto scivoli via.





Una volta assicurati i fili alle dita in questo modo, afferrateli e fateli passare sotto l'intera mano e poi sopra: dovreste trovarvi in una situazione simile a prima, coi fili che passano intorno all'indice e attraversano tutte e quattro le dita che state usando come telaio.

Accavallate di nuovo i fili dito per dito, sempre con quello sotto che passa sopra e si sfila. Ripetete il procedimento a oltranza, fino alla fine dei gomitoli. Sarà un lavoro ripetitivo, ma ne varrà la pena. Dopo qualche passaggio, la vostra sciarpa comincerà a pendere dal dorso della mano e dovrebbe avere più o meno questo aspetto. Sembra bruttino e terribilmente sbagliato, ma vi assicuro che è giusto.

Quando comincia a prendere forma sfilate il nodo dal pollice e scioglietelo. Tirate piano l'estremità e guardate cosa succede: dovreste ottenere una grossa treccia che vi dà l'idea dell'aspetto finale del vostro lavoro. Da qui in poi, consiglio di dare una gentile tiratina ogni tanto, senza cadenza regolare, quando vi viene in mente, giusto per assicurarvi che il vostro serpentone di lana intrecciata stia crescendo bene.

Premiamo fast forward sul telecomando: ora dovreste avere un gran bell'accumulo di sciarpa accanto a voi e due gomitoli che, via via che lavorate, si fanno sempre più piccoli.
Oh, no! Avete necessità d'interrompere il lavoro per riprenderlo in seguito (inventatevi voi il motivo). Come fare a sfilare il tutto senza perdere i punti in corso? Assicuratevi per prima cosa, per evitare confusione, di trovarvi all'inizio (o alla fine, a seconda dei punti di vista) di un giro.
Prendete quattro penne o matite, meglio se con alcune caratteristiche precise: tutte diverse d'aspetto, in modo da potervi ricordare quale fosse associata a quale dito, e più lisce possibili, senza pupazzetti all'estremità né altri ostacoli allo scorrimento. Con molta attenzione, sostituite ogni dito con una di esse. Fate qualche esperimento: potreste trovarvi meglio sfilando il punto e inserendovi subito la penna o matita, oppure allentandolo in modo da infilarla insieme al vostro dito per poi toglierlo e lasciarla da sola.
Una volta ripetuto il procedimento con tutte e quattro, dovreste trovarvi entrambe le mani libere e il lavoro interrotto dovrebbe apparire all'incirca così:

Andate a fare quel che dovete e, al ritorno, fate il gesto inverso: sostituite ogni penna o matita con il rispettivo dito. Se necessario, fatevi aiutare in questi passaggi da una seconda persona: io ho riscontrato qualche difficoltà nel farlo da sola, e ho sicuramente trovato più complicato riprendere che interrompere. È una tecnica lenta, che non va affatto bene se il vostro bisogno di fermarvi è improvviso, ma purtroppo non ne conosco altre.
Mandiamo avanti ancora un po' la cassetta (sì, sono antica, ma mi è simpatico l'effetto che fa un VHS accelerato, con le righe che attraversano lo schermo e i tipici rumorini associati, un DVD non dà l'immagine mentale che cercavo!) e vediamo cosa succede quando avete finito. Un consiglio spassionato: quando vedete che i fili sono agli sgoccioli, cercate sempre di fare un giro in meno piuttosto che uno in più. Ai fini della chiusura della sciarpa, è molto più scomodo trovarsi con un'estremità troppo corta e difficile da maneggiare che con una troppo lunga che si può poi semplicemente tagliare. Assicuratevi di nuovo di trovarvi tra un passaggio e l'altro, prendete il poco filo rimasto e fatelo passare sotto la parte avvolta al mignolo.

Sfilate la lana dal mignolo e tirate piano: l'estremità dovrebbe cominciare a chiudersi come in foto. Fate lo stesso con le altre dita, una per una, fino a liberarvi tutta la mano.

Ora ripescate l'estremità iniziale dal mucchio di lana che si sarà sicuramente formato, trovate un buco qualsiasi tra i primi punti di quella opposta e infilatevi la parte extra di filo: ora capite perché all'inizio bisognava lasciarne pendere un po', vero? Fate lo stesso all'altro capo e legate le estremità con il più semplice dei nodi. Il tutorial che ho seguito suggerisce di ripetere la procedura un altro paio di volte per maggiore sicurezza, ma così facendo io ho riscontrato un problema: tende a formarsi una sorta di accumulo, mentre noi puntiamo a una chiusura invisibile. Furbescamente, io mi arrangio chiudendo con un nodo doppio o pure triplo, senza ripetere. Giuro che funziona, ho tirato e non si sfila. Basta stringere più che si può.


Armatevi di forbici e, con molta attenzione, tagliate l'eccesso: dovete tagliare vicinissimo alla chiusura, in modo che non resti più nulla di pendente, ma senza spezzare inavvertitamente altre parti.

Dovreste avere un enorme anello di lana intrecciata, a prima vista non semplicissimo da maneggiare, come quello in foto.

Afferratelo in qualsiasi punto e mettetevelo al collo (o, se la chiusura non vi è riuscita perfetta, assicuratevi che si trovi dietro, dove si vede poco) e cominciate a fare diversi giri, finché la sciarpa smetterà di pendere fino a terra. Il bello è che potete tenerla larga o stretta quanto volete. Se siete maldestri come me, avrete bisogno di qualche esperimento per trovare la larghezza giusta: io ho fatto una prova e l'ho messa troppo stretta, non dico fino a soffocare, ma procurandomi un certo fastidio. Messa come si deve è comodissima, promesso.

Forza, armatevi tutti di gomitoli: avete ancora il tempo di confezionare un regalino per riscaldare qualche conoscente sensibile al freddo in questo inverno appena cominciato! Con meno lana, meno pazienza o una combinazione delle due cose, potreste realizzare con lo stesso sistema anche dei simpatici bracciali artigianali.
Come ultimo colpo di coda, ringrazio di cuore la mia amica S. che si è prestata come modella: per realizzare le foto del tutorial ci volevano almeno tre mani, due che lavorassero e una che scattasse! Thank you, merci, gracias, danke, arigato, insomma... ci siamo capite! Sarai ricompensata per l'impegno con un esemplare tutto tuo, il che poi è solo una scusa per farne un'altra: una volta cominciato, non ci si ferma più, parola di Gatta.

sabato 20 dicembre 2014

In sala lettura: Il Baco da Seta, Robert Galbraith

Un tessuto sì, ma di citazioni

Salve a tutti, cari lettori. Oggi continuiamo la “gloriosa” tradizione di prenderci ogni tanto un momento per parlare di libri, e lo facciamo con un titolo che forse vi ricorderà qualcosa: si tratta del secondo nella serie di Cormoran Strike, firmata Robert Galbraith alias J.K. Rowling, col cui primo volume avevo inaugurato tempo fa il mio angoletto delle recensioni.
Prima di addentrarci a parlare della trama, che preferisco accennarvi a pennellate veloci per non cadere nel rischio di rovinarvi la sorpresa finale (ed è una sorpresa, fidatevi: conoscendola, sapevo fin dall'inizio che il finale sarebbe stato del tutto insospettabile, ma le mie congetture si fermavano lì), soffermiamoci un momento sul titolo. Con questo secondo episodio sta cominciando a formarsi uno schema ricorrente: sospetto che da qui in poi su ogni copertina figurerà il nome di un animale e che la connessione tra esso e il contenuto non sarà mai immediatamente evidente.
Rispetto alla perplessità che aleggia su quasi tutto il primo volume, in cui non si scopre se non molto più avanti cosa c'entri il cuculo, tuttavia, stavolta almeno il mistero del titolo è risolto presto: Il Baco da Seta è un riferimento al manoscritto di un romanzo che fa da perno all'intera storia, che l'autore aveva battezzato Bombyx Mori, ovvero il nome scientifico dell'insetto, che però nel contesto diventa il nome del protagonista, il quale non si sente affatto a disagio nel suo mondo con una denominazione del genere, dato che anche gli altri vantano un'impressionante collezione di nomi e soprannomi di varia natura uno più strano dell'altro: Succuba, Zecca, Tagliatore, Vanaglorio, Arpia, Epicoene e (preparatevi al peggio) Phallus Impudicus, a sua volta un nome scientifico, però di un fungo velenoso.



Pare quasi che la nostra autrice, che stavolta passa dall'ambiente dei flash fotografici a uno che conosce ancora meglio, quello dell'editoria, abbia trasferito sulla vittima, Owen Quine, scrittore di fama scarsa e opinione di sé altissima, l'abitudine dei nomi tematici: alla lista di nomi di uccelli per stavolta si aggiunge solo il vezzeggiativo della figlia di lui, Orlando “Dodo” Quine (sì, è femminile, lunga storia), una ragazza con gravi disturbi dell'apprendimento che a ventiquattro anni aveva dato a Strike, da come ne parlava la madre, l'impressione di una bimba di non più di dieci, e per di più nel corso del libro si specifica per benino l'origine reale del nome di Cormoran, che non ha quella famigerata T finale perché con i volatili non c'entra proprio nulla ed è invece il nome di un gigante del folklore britannico (un brutto colpo alla mia teoria dei pennuti, ma comunque un nome parlante nel suo solito stile, vista la stazza del detective: nomen omen, come sempre!). Particolarmente intelligente, poi, la scelta di un animale estinto e incapace di volare nonostante la sua appartenenza alla classe degli uccelli: sarà anche questo un riferimento alla disabilità del personaggio?

In comune con l'altro libro c'è il fatto che anche questa storia di omicidio non comincia come tale: se quello di Lula Landry era stato liquidato come suicidio, quello di Quine inizia come un caso di persona scomparsa, con la moglie, Leonora, che si presenta nell'ufficio di Strike per chiedergli di ritrovarlo. Owen è un pessimo marito, il perfetto ritratto dell'artista capriccioso, ed è normale che sparisca dalla circolazione per alcuni giorni per poi tornare, ma ne sono passati già dieci, più del solito, e lei decide di rivolgersi al nostro eroe, che nel frattempo, con la notorietà acquisita dopo il caso di Lula, ha cominciato a farsi una discreta fama e lavora incessantemente, per lo più come pedinatore di coniugi presunti infedeli.
Nell'andarsene, Owen ha portato con sé il manoscritto del suo ultimo romanzo, Bombyx Mori, per l'appunto, che se fosse pubblicato rischierebbe a quanto pare di causargli una pioggia di problemi legali: dietro ognuno di quei nomi improbabili si nasconde infatti, neanche troppo mascherata, una riconoscibilissima persona reale, dalla moglie all'amante, dall'editor a uno scrittore rivale, alcune accusate anche di fatti gravissimi (uno su tutti: Quine insinuerebbe che sia stato lo stesso marito, Michael Fancourt, a scrivere una parodia anonima che tempo addietro aveva spinto la sua prima moglie al suicidio). Uno scritto, insomma, che gli procurerebbe parecchi nemici se fosse stampato e distribuito al grande pubblico.
L'indagine subisce una svolta quando è Strike stesso a ritrovare il cadavere di Quine proprio in un luogo dove la moglie si professava convintissima che non fosse, perché per quanto ne sapeva lo odiava e non vi metteva piede da anni. Non solo la natura del caso cambia da sparizione a omicidio, ma il crimine è avvenuto riproducendo esattamente la modalità della morte del protagonista di Bombyx Mori, chiaro autoritratto, ponendo così il colpevole necessariamente nella rosa di coloro che l'hanno già letto (che purtroppo non sono pochi). Breve ma necessario interludio: se non vi dico di preciso come muore Owen, è per metà per evitare spoiler e per metà per non vomitare sulla tastiera. Rispetto a colei che autocensurava il suo immaginario per adattarlo a un pubblico giovane e aveva inventato come picco di malvagità un incantesimo in grado di dare una morte veloce, pulita e senza tracce, Il Baco da Seta è un romanzo davvero molto crudo. Pare quasi che la Rowling stia tirando fuori in un colpo solo tutto lo schifo che si era tenuta dentro per non impressionare i bimbi innocenti che sognavano l'undicesimo compleanno per andare a Hogwarts. Non sono particolarmente schizzinosa, perlomeno quando leggo (i film sono un'altra storia, provo molto meno ribrezzo con la carta che con la pellicola), ma ho trovato l'assassinio di Quine assolutamente disgustoso. Lettore avvisato, mezzo salvato. Simili avvertimenti andrebbero apposti anche per quanto riguarda il linguaggio, che è (al solito) molto più pieno di “Vaffanculo” rispetto alla saga del maghetto, e per i riferimenti sessuali, che di necessità abbondano, perché i romanzi di Quine sono in generale parecchio espliciti. Vale la pena di andare avanti, se non vi scandalizzate, ma non dite che non ve l'avevo detto.
Tra copie di Bombyx Mori che circolano e ricerche sui lavori precedenti di Owen, il libro diventa un interessante sistema di scatole cinesi, con i personaggi di un'opera letteraria che ne divorano e citano in continuazione altre, sia reali sia di fantasia, e per di più con ogni capitolo che si apre con una breve frase tratta da un libro che, a saper leggere tra le righe, ne anticipa il contenuto. Altro che seta, questo è un tessuto, certo, ma d'intertestualità. Tanto di cappello.
Ricordate l'appunto di poco conto che avevo fatto a Il Richiamo del Cuculo, secondo cui gli interrogati ricordavano troppo e troppo bene? Ho come l'impressione di non essere stata l'unica a notare il difettuccio, perché stavolta “Robert” ovvia al problema alla radice, per prima cosa ponendo il fattaccio a distanza di meno tempo, e secondo, premurandosi di far specificare quando necessario ai personaggi, spontaneamente o in risposta a domande precise, qualcosa del tipo: “Sono sicuro che sia così perché...” e via dicendo, con il testimone di turno che collega plausibilmente il dettaglio richiesto a un altro fatto che è certo di rammentare.
Parallelamente all'indagine, tra acute interviste più simili a partite a scacchi che a colloqui in cui Strike calcola attentamente ogni mossa per cavare dai conoscenti e colleghi della vittima più informazioni possibili e pian piano tratteggia una complessa storia di dissapori personali e letterari che danno dell'universo della carta stampata l'impressione di una vasca piena di squali, stratagemmi per infiltrarsi come ospite aggiuntivo a feste a cui non era stato invitato e un paio di concitate scene in auto con un'inedita Robin passione stuntwoman al volante, prosegue anche la vita personale dei nostri eroi, nelle quali si profilano all'orizzonte ben due matrimoni. Da una parte c'è quello di Robin con il noiosiss... ehm, rispettabilissimo Matthew, che viene rimandato a causa della morte della madre di lui, stavolta per cause naturali, e dall'altra quello di Charlotte Campbell, la bellissima e altolocata ex di Cormoran, che finisce addirittura sulla copertina di un giornale di gossip per la sua unione con un visconte che pare non aver nulla da invidiare al Royal Wedding tra William e Kate, che peraltro fa da sfondo al romanzo, dato che la storia si svolge in quel periodo, e addirittura aiuta Strike a ricordarsi dell'esistenza di una pista inesplorata perché, per una coincidenza furbescamente architettata dall'autrice, un personaggio porta lo stesso nome della sorella di Kate. Tra alti e bassi vari, sembra che alla fine sul fronte sentimentale siano entrambi messi meglio di com'erano partiti: Charlotte ricorre a un ultimo, disperato tentativo di tornare tra le braccia di Cormoran alla vigilia del fatidico sì, ma lui dimostra finalmente di avere la forza di volontà di ignorare il suo SMS, lasciarla al triste destino che si è scelta da sé e cominciare a guarire dalle ferite lasciate dalla loro relazione malsana, mentre Robin, che inizia a rendersi conto di quanto l'atteggiamento del fidanzato ostacoli il suo lavoro e reprima la sua indipendenza, prende il coraggio di confessare a Matthew la portata del suo amore per l'investigazione, che esisteva già da prima di Strike e non dev'essere dunque motivo di gelosia, e ottiene un certo grado di ammorbidimento da parte di lui, che comunque non ne è entusiasta. Se si arrenderà del tutto per il bene del loro futuro matrimonio o se si lasceranno prima dell'altare è ancora tutto da vedere. Venghino, venghino, signore e signori, si accettano scommesse!
E così, con i sostenitori di un eventuale futuro sviluppo romantico tra i protagonisti ancora pieni di speranze e Robin che aspetta con ansia che cominci il corso d'addestramento offertole dal capo, dal valore ben più ufficiale di qualche sparuto incarico lontano dalla scrivania, mettiamoci in attesa anche noi, sì, ma dell'uscita del terzo episodio...
A presto, amici!
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