... O forse no?
Lettori e lettrici, in un blog
che si chiama “Biblioteca” non poteva certo mancare uno spazio in
cui parlare semplicemente di libri, giusto?
È
proprio questo che faremo, partendo da una mia recente lettura, Il
Richiamo del Cuculo,
firmato Robert Galbraith.
E già su questa prima frase all'apparenza così basilare si
potrebbe discutere all'infinito, perché come ormai saprete tutti,
altro non è che uno pseudonimo dietro il quale si nasconde
nientepopodimeno che J.K. Rowling, già famosa per la saga di Harry
Potter
e per Il
seggio vacante.
Ebbene, la nostra Jo
(perdonatemi, faccio parte della generazione di Harry, per noi è
normalissimo prenderci confidenza e chiamarla pure “zia” quando
capita) cambia di nuovo genere e si dà al romanzo giallo,
inaugurando la serie dedicata a Cormoran Strike.
Cormoran è lo Sherlock Holmes
della situazione, e in effetti, a ben vedere, di somiglianze con il
detective del 221B di Baker Street ne ha più di una: in entrambi i
casi stiamo parlando di un investigatore privato con base a Londra,
città che conosce molto bene, e una figura di fedele assistente alle
calcagna.
Tuttavia, “Robert”
astutamente evita di creare una replica perfetta della dinamica
Holmes/Watson con tutta una serie di espedienti, il primo e il più
semplice dei quali è di cambiare sesso all'aiutante: a dare una mano
al nostro Strike, infatti, è la segretaria temporanea Robin
Ellacott.
Ma
come, “temporanea”? Allora non la rivedremo più nel secondo
episodio, al momento conosciuto solo col titolo originale The
Silkworm,
col quale dovrebbe uscire a giugno? Non sarà mica che Strike
cambierà un'assistente per ogni volume, neanche fossero insegnanti
di Difesa contro le Arti Oscure? Oh, credetemi, l'ho pensato più
volte, ma pare che il rischio sia stato scongiurato. Come e perché,
preferisco che lo scopriate leggendo il libro. Essendo un giallo, mi
impegnerò doppiamente a tenere questo post al sicuro dall'altissimo
rischio spoiler.
Ancora
due parole sui nostri protagonisti. “Robert”, a quanto pare, non
riesce proprio a resistere alla tentazione di rappresentare (stavolta
senza magia) una contrapposizione tra due mondi, e stavolta lo fa
tratteggiando la vita di Robin, che pare divisa in due grossi
compartimenti stagni: da una parte, la nostra eroina sta vivendo un
idillio da cartolina con il rispettabilissimo Matthew, che con sua
somma gioia le ha appena chiesto di sposarlo, e dall'altra sogna
un'esistenza piena d'azione che il lavoro con Strike sembra in grado
di garantirle e che invece il fidanzato, con un freddo atteggiamento
da contabile che ha non poco in comune con la mentalità ristretta
che abbiamo già visto in Vernon Dursley e in molti abitanti di
Pagford, l'ambientazione principale del Seggio,
disapprova.
Strike, dal canto suo, si
presenta come un mistero ancora più grosso di quello intorno a cui
ruota la storia, e con un solo episodio all'attivo siamo ancora ben
lontani dal poter assemblare tutto il puzzle del suo non facile
passato. Se la vita sentimentale di Robin è al suo picco più alto,
quella di Cormoran, reduce da una rottura burrascosa che l'ha ridotto
a dormire in ufficio finché non troverà una nuova sistemazione, è
al più basso. Sappiamo qualcosa dei suoi trascorsi da militare, che
ha plasmato la sua persona da ogni punto di vista: fisico, mentale e
sociale. Senza il periodo trascorso in Afghanistan, Cormoran non
avrebbe né il suo rigoroso metodo di lavoro, né i contatti nella
polizia senza i quali la trama incontrerebbe un vicolo cieco, né –
e l'ultima andava forse menzionata per prima – una protesi a
sostituire parte di una gamba persa in un'esplosione. Qualche
potteriano con cui mi è capitato di discuterne vede un po' di Hagrid
nel suo fisico massiccio e nella sua natura in fondo semplice; il
primo paragone a cui penso io, invece, è Alastor “Malocchio”
Moody. Sappiamo anche che non ha avuto precisamente un'infanzia da
sogno e che si trascina dietro la pesante eredità di essere il
figlio illegittimo di un famoso cantante e di una groupie, ma di
quella parte mancano ancora grossi pezzi.
Per stavolta, tuttavia, il legame
pur tenue con il mondo scintillante dei ricchi e famosi gli torna
comodo, perché come prima prova delle sue abilità investigative è
chiamato a scoperchiare il caso che pareva già chiuso di una celebre
modella, Lula Landry, caduta tre mesi prima dal balcone di un
elegante appartamento di Mayfair. Il fratello adottivo di lei, John
Bristow, fa quasi irruzione nell'ufficio di Strike, proclamandosi
convinto che si sia trattato di omicidio e non, come aveva dichiarato
la polizia, di suicidio. Le prove iniziali che porta sono poche e
confuse, e tra di esse la regina è una sua personale ossessione con
una presenza sospetta nel girato delle telecamere di sicurezza del
quartiere, soprannominata nei suoi appunti il “Corridore”.
Da questi sparuti pezzetti,
Strike riesce piano piano, tra la notevole abilità di Robin con
Google e una serie di estenuanti interviste a chiunque abbia avuto
una pur minima connessione con Lula, a tessere un arazzo di
un'infinità di sfumature diverse che lo porta dalla miseria di un
centro di recupero ai flash di un servizio fotografico, per poi
giungere... questo non ve lo dico. Preparatevi soltanto a essere più
sorpresi di quando il professor Raptor si tolse il turbante per la
prima volta.
Non so se si tratti di una
particolare abilità persuasiva da parte della scrittrice o della mia
quasi totale inesperienza nel genere, ma la mia impressione è stata
quella di un'indagine che procede a meraviglia, senza buchi o
incongruenze immediatamente rilevabili, senza rivelazioni troppo
grandi fatte troppo presto, con il quadro che si costruiva lentamente
da sé attraverso le contraddizioni, alcune aperte e altre più
sottili, tra le diverse versioni degli stessi fatti. L'unica nota
vagamente stonata è che certi dettagli riportati, per essere
riferiti a eventi di tre mesi prima, sono talmente minuti da far
vergognare Pico della Mirandola: qui e là pare di trovarsi di fronte
a uomini-computer che non perdono mai un colpo. Quasi certamente si
tratta di un trucco per indurre il lettore a sospettare delle persone
sbagliate spingendolo a ragionare pressappoco in questo modo: “Solo
il colpevole potrebbe saperlo!”. Se è così, devo dire che
funziona; altrimenti ho semplicemente sottovalutato le capacità
della memoria umana.
Vedendomi
così legata al mondo oltre la barriera del binario 9 e ¾, potreste
pensare che il mio apprezzamento per Il
Richiamo del Cuculo
sia in realtà un'infatuazione per l'autrice che si cela dietro
Robert Galbraith, e forse in parte è così, ma se conosceste i miei
abituali gusti di lettura sapreste che c'è di più: di norma non
digerisco i gialli, a parte qualche rara eccezione, e se decido che
una storia ha troppo mistero e sangue per i miei gusti, nessun nome e
nessun miracolo potranno farmi cambiare idea. Per entrare nella rosa
dei pochi detective che amo, Strike deve proprio avere qualcosa che
va oltre la persona che l'ha creato.
Che
si tratti di J.K. Rowling si sente, ma solo col senno di poi:
rispetto a quella che autocensurava le parolacce per adattarsi a un
pubblico giovane, lasciandone soltanto una di particolare forza in
sette libri (sapete tutti dov'è, vero?), sembra un'altra autrice,
anche se in confronto all'impressionante numero di “fuck” e
derivati che aveva fatto pronunciare a Krystal Weedon nel Seggio
questo pare un manuale di bon-ton. Non so se me ne sarei resa conto
leggendo il libro prima del grande scoop, ma ora che il mondo lo sa,
molti particolari puntano verso di lei: le descrizioni di Londra,
particolareggiate ma mai noiose, caratterizzate dall'intima
conoscenza dei tempi necessari per percorrerla a piedi che può avere
solo chi vi ha vissuto; la varietà di accenti e intercalari tipici
di ogni personaggio che danno più colore alla caratterizzazione e
che avrei pagato oro sonante per godermi in inglese anziché in
traduzione, chiari omologhi delle lettere mangiucchiate nelle battute
originali di Hagrid o di Stan Picchetto e del “Wotcher” con cui
la Tonks edita dalla Bloomsbury saluta sempre Harry; la scelta di
alcuni nomi, non proprio parlanti a livello di un Sirius Black o di
un Remus Lupin, ma comunque evocativi.
Qualche appunto sui
suddetti, nel bene e nel male: Jo sembra essere tornata in parte alla
sua mania dell'onomastica a tema. Come la maggior parte dei Black
avevano nomi che possiamo ritrovare nella mitologia o nelle stelle,
per incontrare i nostri eroi stavolta bisogna aprire un manuale di
ornitologia: già il titolo, che pare avere poco a che fare con la
trama, fa riferimento al cuculo per un motivo ben preciso che vi
lascio scoprire da soli.
Non è però l'unico
uccello presente in queste pagine: “Robin” significa “pettirosso”
e allo stesso Cormoran manca soltanto una lettera per avere il nome
del pennuto a cui sicuramente avrete pensato tutti, il cormorano, che
però si dice “cormorant”.
Terminiamo l'excursus, purtroppo, con
una nota negativa: per essere una che mette tanta attenzione nella
scelta dei nomi per i suoi personaggi e per sé (“Robert Galbraith”
è a sua volta una decisione assai ragionata che dovrebbe voler dire
“famoso estraneo”), avrebbe potuto fare una mossa migliore nel
caso della povera vittima. Leggendo il libro in italiano
quest'impressione è assai attenuata, ma siccome so dell'abilità non
comune della Rowling di divertirsi con la lingua inglese e di solito
preferisco avere in mano ciò che è uscito direttamente dalla sua
penna, il suono di “Lula Landry” continuava a fondersi nella mia
mente formando la parola “laundry”, cioè “bucato”, di fatto
distruggendo il dramma di certe situazioni con un effetto vagamente
comico. Se un giorno scoprirò che, per qualche contorsione che mi è
sfuggita, ciò era voluto, mi pentirò della mia critica e mi
autoflagellerò quanto necessario, ma ne dubito fortemente.
Un'ultima nota a beneficio dei
fan del maghetto: la Rowling ha dichiarato che avrebbe preferito
mantenere il silenzio su Robert ancora per un po', ma – sarà che
vedo riferimenti a Harry in qualunque cosa scritta da lei e anche
altrove, sarà che cerco significati dove non ce ne sono – secondo
me il libro è disseminato di indizi che dicono chi l'ha scritto
davvero, come un giallo nel giallo. Tra le vie di Londra più
nominate c'è Charing Cross Road, che guarda caso è quella dove si
trova l'entrata a Diagon Alley, uno dei personaggi ha due gatti che
si chiamano Rolf e Viktor (Viktor con tanto di K! Non sarebbe stato
più immediato scriverlo con la C?), e un altro consiglia a Strike di
lasciar perdere le indagini e darsi alla scrittura di romanzi
fantasy. Forse, sotto sotto, voleva dircelo.
In
conclusione: se vi piacciono i gialli, fate un tentativo. Non posso
garantirvi che Strike finirà lassù, sullo stesso scaffale di Holmes
e di Poirot, ma ne vale la pena. E se invece non vi piacciono,
sacrificatevi: è possibilissimo che vi capiti quello che è successo
a me e che Il
Richiamo del Cuculo
diventi la vostra classica eccezione che conferma la regola.
Valutazione complessiva:
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