Un libro così in questo blog si sente a casa, ma...
Cari
lettori, se n'è appena andato il nostro panda e noi torniamo, in un
certo senso, a disquisire di parole. Senza di lui, però, perché
stavolta ad aiutarci sarà uno che delle parole, e del giocare con
esse, ha fatto un mestiere: Stefano Bartezzaghi, traduttore (famoso
di recente per la tanto adorata e tanto vituperata nuova edizione di
Harry
Potter),
autore di cruciverba e naturalmente anche scrittore.
Con
un tale curriculum, è naturale che quando mette mano alla penna sia
per parlare del suo argomento preferito: la lingua italiana in tutte
le sue sfaccettature. L'ha già fatto in passato, ma quello che
tireremo in ballo qui è, se non me ne sono persi altri, il suo
lavoro più recente: Anche
meno. Viaggio nell'italiano low cost.
Questa volta il pretesto per
cominciare è un'espressione che esiste in tante versioni regionali
diverse: “anche no”, “anche basta” o, come preferisce dire
l'autore, “anche meno”. Due parolette che messe vicine in una
frase possono significare tante cose, come provvede subito a
dimostrare con vari esempi, ma che ultimamente hanno preso vita
propria e fanno repubblica a sé, come risposta isolata. Qualcuno
propone qualcosa che ti fa proprio schifo, ma non ti sembra carino
dirglielo in faccia? Facile: «Ma anche no». Qualche spaccone ti
dice qualcosa di esagerato, come quei pescatori che fanno crescere il
pesce che hanno preso a ogni successivo racconto dell'impresa? «Anche
meno». Come dire: calma, non spararle tanto grosse, abbassiamo il
tono.
E l'abbassamento è il filo rosso
che ci conduce da un capitolo all'altro: si cambia argomento tante
volte, ma questo “anche meno” che colpisce come una secchiata
d'acqua gelida e raffredda un po' i bollori ricorre sempre.
Scritte sui muri dalla dubbia
grammatica, accuratamente raccolte dalle strade come da Internet per
creare una piccola antologia dell'amore ai tempi dei lucchetti su
Ponte Milvio? Anche meno, ragazzi, anche meno, ché di Romeo e
Giulietta ce ne sono stati solo due.
Compagnie ferroviarie che ti
bombardano di pubblicità dalla partenza all'arrivo, si divertono a
cambiar nome alle ormai antiquate “classi” e soprattutto ti
ringraziano per averle scelte anche quando non ce ne sono altre da
scegliere? Anche meno, per favore, ché il viaggio in treno voglio
godermelo.
Annunci immobiliari capaci di far
sembrare un monolocale un castello delle fiabe? Anche meno, tanto la
verità verrà a galla.
Talk show che trasferiscono in TV
i modelli comunicativi da stadio, risolvendosi in un continuo urlarsi
addosso in cui qualsiasi tentativo di discutere in modo pacato resta
sepolto sotto le grida e non serve più ad altro che a far sembrare
l'oratore un rammollito rispetto ai presunti Grandi Comunicatori che
lo sconfiggono parlando a voce più alta? Anche meno, se non vi
dispiace: qui di “talk” ce n'è tanto, ma di “show”
abbastanza pochino.
Un gergo politico talmente
intricato, tra roboanti superlativi e latinorum a sproposito, da far
vergognare Dedalo, quello del labirinto? Anche meno.
E
via discorrendo in un perenne abbassare, smontare, sgonfiare come
palloncini, da quel punto di vista sottilmente ironico che deve per
forza essergli derivato dalla lunga collaborazione con La
Settimana Enigmistica:
a furia di guardare il mondo attraverso una lente straniante che crea
collegamenti impensabili tra cose distanti solo perché le parole che
le indicano sono simili, o prende un vocabolo un po' lungo e lo
scompone in tanti piccoli pezzettini che, guarda un po' che magia,
hanno significato anche da soli, ma vogliono dire tutt'altro, forse
il mondo che ci circonda, con i suoi paroloni gonfi d'enfasi e i suoi
innocenti errori comuni con cui Freud si divertirebbe come un bimbo
al parco, per lui non ha più tanto senso. Oppure ne ha così tanti
che gli riesce difficile sceglierne uno solo.
E lo spirito d'enigmista si sente
spesso, oh, se si sente. Lo si ritrova nel capitolo dedicato in
special modo al cruciverba, che all'uscita del libro aveva
festeggiato da poco i cent'anni di gloriosa esistenza, lo si vede
rispuntare inaspettato in qualche titolo di paragrafo basato su un
gioco di parole, si svela in qualche aneddoto personale infilato come
per caso nella trafila della spiegazione, e alla fine ti lascia con
una voglia inspiegabile ma non troppo di chiudere il libro e prendere
rivista e matita. Ci si sente tremendamente intelligenti in quel
beato momento in cui la battutina basata, che so, su un cambio di
vocale prende improvvisamente significato.
Eppure, eppure... una domanda
resta. In tutto questo pur sanissimo calmare i bollenti spiriti, cosa
resta ancora non dico di sacro, ma almeno di valido? Non sarà mica
che qui, nel delirio generale di abbassare tutto l'abbassabile,
stiamo mandando alla ghigliottina fenomeni che non meriterebbero più
di uno schiaffetto?
Stefano Bartezzaghi sarà pure un
nome illustre, anzi illustrissimo (vediamo se ha il coraggio di dirsi
da solo un bell'“anche meno”, nel remoto caso in cui passi da
queste parti), ma nella sua smania di rimpicciolire tutto e tutti mi
è parso un po' troppo pronto alla condanna, al tono da pulpito, al
moralismo facile.
Si
scaglia contro i social network ogni volta che può, citando Facebook
come fonte di un gran numero di disastri linguistici e non solo, ma
sinceramente a me risulta che di gran censori pronti a lamentarsi
dello stato dell'italiano ce ne fossero anche prima del 2004. Qui
mancherebbe solo un O
tempora, o mores
per completare il quadretto. Me lo immaginavo in toga, tutto intento
a puntare il dito e scaldarsi, magari sputacchiando inavvertitamente
mentre parlava, con un effetto comico che è praticamente un “Anche
meno” incorporato.
È bravissimo a spiegare per filo
e per segno perché questa espressione pubblicitaria sia sbagliata,
quest'altra esagerata e quest'altra ancora, ad analizzarla bene,
logicamente assurda, ma che diamine, siamo per l'appunto in
pubblicità! Se non si può esagerare un po' in quel campo, dove ci
resta la facoltà di farlo? Uno spot che ti dimostri con calma,
neanche fosse un personaggio in un dialogo di Platone, tutto il
perché e il percome della buona qualità del prodotto reclamizzato,
non funziona, non cattura, è troppo lungo, fa solo sbadigliare. Uno
che te lo dica in pochi secondi pieni di punti esclamativi e di
“-issimo” invece sì che fa effetto.
Nel suo infinito smontare la
lingua come fosse una costruzione di Lego, anzi le lingue, perché i
settori colpiti sono i più diversi e le sue frecciate non
risparmiano nessuno, né gli operatori chiamati a dare gli avvisi
prima in italiano e poi in inglese con i prevedibili risultati men
che perfetti né l'anonimo graffitaro che cerca di dire alla sua
bella “Je t'aime” senza sapere come si scriva, insomma, mi è
parso giusto un tantino pieno di sé: abbassa questo, abbassa quello,
e alla fine di alto resta solo lui, che sembra non poter sbagliare
mai. Non aiutano in questo senso i consigli di grammatica sparsi come
il pepe che fa da tocco finale a una pietanza: utilissimi, per
carità, ma hanno il poco simpatico effetto collaterale di accrescere
quell'aura da maestrino a cui certamente l'autore non mirava. Capisco
che ciascuno tiri l'acqua al proprio mulino, ma ogni tanto, di fronte
a certe frasi saccenti, indovinate un po' cosa mi veniva voglia di
dirgli?
Anche meno, signor B., anche
meno.
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