lunedì 24 marzo 2014

In sala lettura: "Anche meno", Stefano Bartezzaghi

Un libro così in questo blog si sente a casa, ma...

Cari lettori, se n'è appena andato il nostro panda e noi torniamo, in un certo senso, a disquisire di parole. Senza di lui, però, perché stavolta ad aiutarci sarà uno che delle parole, e del giocare con esse, ha fatto un mestiere: Stefano Bartezzaghi, traduttore (famoso di recente per la tanto adorata e tanto vituperata nuova edizione di Harry Potter), autore di cruciverba e naturalmente anche scrittore.
Con un tale curriculum, è naturale che quando mette mano alla penna sia per parlare del suo argomento preferito: la lingua italiana in tutte le sue sfaccettature. L'ha già fatto in passato, ma quello che tireremo in ballo qui è, se non me ne sono persi altri, il suo lavoro più recente: Anche meno. Viaggio nell'italiano low cost.
Questa volta il pretesto per cominciare è un'espressione che esiste in tante versioni regionali diverse: “anche no”, “anche basta” o, come preferisce dire l'autore, “anche meno”. Due parolette che messe vicine in una frase possono significare tante cose, come provvede subito a dimostrare con vari esempi, ma che ultimamente hanno preso vita propria e fanno repubblica a sé, come risposta isolata. Qualcuno propone qualcosa che ti fa proprio schifo, ma non ti sembra carino dirglielo in faccia? Facile: «Ma anche no». Qualche spaccone ti dice qualcosa di esagerato, come quei pescatori che fanno crescere il pesce che hanno preso a ogni successivo racconto dell'impresa? «Anche meno». Come dire: calma, non spararle tanto grosse, abbassiamo il tono.
E l'abbassamento è il filo rosso che ci conduce da un capitolo all'altro: si cambia argomento tante volte, ma questo “anche meno” che colpisce come una secchiata d'acqua gelida e raffredda un po' i bollori ricorre sempre.
Scritte sui muri dalla dubbia grammatica, accuratamente raccolte dalle strade come da Internet per creare una piccola antologia dell'amore ai tempi dei lucchetti su Ponte Milvio? Anche meno, ragazzi, anche meno, ché di Romeo e Giulietta ce ne sono stati solo due.
Compagnie ferroviarie che ti bombardano di pubblicità dalla partenza all'arrivo, si divertono a cambiar nome alle ormai antiquate “classi” e soprattutto ti ringraziano per averle scelte anche quando non ce ne sono altre da scegliere? Anche meno, per favore, ché il viaggio in treno voglio godermelo.
Annunci immobiliari capaci di far sembrare un monolocale un castello delle fiabe? Anche meno, tanto la verità verrà a galla.
Talk show che trasferiscono in TV i modelli comunicativi da stadio, risolvendosi in un continuo urlarsi addosso in cui qualsiasi tentativo di discutere in modo pacato resta sepolto sotto le grida e non serve più ad altro che a far sembrare l'oratore un rammollito rispetto ai presunti Grandi Comunicatori che lo sconfiggono parlando a voce più alta? Anche meno, se non vi dispiace: qui di “talk” ce n'è tanto, ma di “show” abbastanza pochino.
Un gergo politico talmente intricato, tra roboanti superlativi e latinorum a sproposito, da far vergognare Dedalo, quello del labirinto? Anche meno.
E via discorrendo in un perenne abbassare, smontare, sgonfiare come palloncini, da quel punto di vista sottilmente ironico che deve per forza essergli derivato dalla lunga collaborazione con La Settimana Enigmistica: a furia di guardare il mondo attraverso una lente straniante che crea collegamenti impensabili tra cose distanti solo perché le parole che le indicano sono simili, o prende un vocabolo un po' lungo e lo scompone in tanti piccoli pezzettini che, guarda un po' che magia, hanno significato anche da soli, ma vogliono dire tutt'altro, forse il mondo che ci circonda, con i suoi paroloni gonfi d'enfasi e i suoi innocenti errori comuni con cui Freud si divertirebbe come un bimbo al parco, per lui non ha più tanto senso. Oppure ne ha così tanti che gli riesce difficile sceglierne uno solo.

E lo spirito d'enigmista si sente spesso, oh, se si sente. Lo si ritrova nel capitolo dedicato in special modo al cruciverba, che all'uscita del libro aveva festeggiato da poco i cent'anni di gloriosa esistenza, lo si vede rispuntare inaspettato in qualche titolo di paragrafo basato su un gioco di parole, si svela in qualche aneddoto personale infilato come per caso nella trafila della spiegazione, e alla fine ti lascia con una voglia inspiegabile ma non troppo di chiudere il libro e prendere rivista e matita. Ci si sente tremendamente intelligenti in quel beato momento in cui la battutina basata, che so, su un cambio di vocale prende improvvisamente significato.
Eppure, eppure... una domanda resta. In tutto questo pur sanissimo calmare i bollenti spiriti, cosa resta ancora non dico di sacro, ma almeno di valido? Non sarà mica che qui, nel delirio generale di abbassare tutto l'abbassabile, stiamo mandando alla ghigliottina fenomeni che non meriterebbero più di uno schiaffetto?
Stefano Bartezzaghi sarà pure un nome illustre, anzi illustrissimo (vediamo se ha il coraggio di dirsi da solo un bell'“anche meno”, nel remoto caso in cui passi da queste parti), ma nella sua smania di rimpicciolire tutto e tutti mi è parso un po' troppo pronto alla condanna, al tono da pulpito, al moralismo facile.
Si scaglia contro i social network ogni volta che può, citando Facebook come fonte di un gran numero di disastri linguistici e non solo, ma sinceramente a me risulta che di gran censori pronti a lamentarsi dello stato dell'italiano ce ne fossero anche prima del 2004. Qui mancherebbe solo un O tempora, o mores per completare il quadretto. Me lo immaginavo in toga, tutto intento a puntare il dito e scaldarsi, magari sputacchiando inavvertitamente mentre parlava, con un effetto comico che è praticamente un “Anche meno” incorporato.
È bravissimo a spiegare per filo e per segno perché questa espressione pubblicitaria sia sbagliata, quest'altra esagerata e quest'altra ancora, ad analizzarla bene, logicamente assurda, ma che diamine, siamo per l'appunto in pubblicità! Se non si può esagerare un po' in quel campo, dove ci resta la facoltà di farlo? Uno spot che ti dimostri con calma, neanche fosse un personaggio in un dialogo di Platone, tutto il perché e il percome della buona qualità del prodotto reclamizzato, non funziona, non cattura, è troppo lungo, fa solo sbadigliare. Uno che te lo dica in pochi secondi pieni di punti esclamativi e di “-issimo” invece sì che fa effetto.
Nel suo infinito smontare la lingua come fosse una costruzione di Lego, anzi le lingue, perché i settori colpiti sono i più diversi e le sue frecciate non risparmiano nessuno, né gli operatori chiamati a dare gli avvisi prima in italiano e poi in inglese con i prevedibili risultati men che perfetti né l'anonimo graffitaro che cerca di dire alla sua bella “Je t'aime” senza sapere come si scriva, insomma, mi è parso giusto un tantino pieno di sé: abbassa questo, abbassa quello, e alla fine di alto resta solo lui, che sembra non poter sbagliare mai. Non aiutano in questo senso i consigli di grammatica sparsi come il pepe che fa da tocco finale a una pietanza: utilissimi, per carità, ma hanno il poco simpatico effetto collaterale di accrescere quell'aura da maestrino a cui certamente l'autore non mirava. Capisco che ciascuno tiri l'acqua al proprio mulino, ma ogni tanto, di fronte a certe frasi saccenti, indovinate un po' cosa mi veniva voglia di dirgli?
Anche meno, signor B., anche meno.
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