martedì 1 aprile 2014

Sgranocchiando popcorn: "Storia di una ladra di libri"

Quando le parole sono più forti della morte

Cari amici, oggi si ritorna al cinema. Oltre al popcorn, vi suggerisco di premunirvi di una scatola di fazzoletti. Preferibilmente formato famiglia.
E perché, vi chiederete voi, cotante lacrime? Perché il film in questione è Storia di una ladra di libri, del 2013, con Brian Percival al timone della regia. Chiamatemi sentimentale, oppure (a vostra scelta) date tutta la colpa al mio ormai ampiamente dimostrato status di topo, o gatta, di biblioteca, ma è veramente toccante.
Germania, 1938. La nostra ladra si chiama Liesel Meminger (Sophie Nélisse) e la incontriamo per la prima volta su un treno che la sta portando, con la madre e il fratellino, all'altro capo del Paese. Stando al poco che si riuscirà a ricostruire, la madre è una comunista in fuga dal regime di Hitler che ha deciso di dare i figli in adozione. Dei due, solo Liesel arriverà sana e salva nella nuova casa: il piccolo morirà in viaggio, come si può intuire peraltro dal particolarissimo punto di vista narrativo del film. Di tanto in tanto, infatti, interviene una voce narrante tranquilla, superiore, appena un po' ironica, che rappresenta nientemeno che la Morte.
La causa del decesso non è ben specificata: da incolpare sono forse le condizioni proibitive del viaggio unite a una preesistente malattia. La scena, tuttavia, sacrifica la chiarezza in favore di una grandissima classe: una sparuta gocciolina di sangue e – espediente, questo, che ho trovato intelligentissimo – lo strillo di Liesel che si fonde col fischio del treno.
La carriera di ladra di libri per la nostra eroina comincia presto: al funerale si appropria di un volumetto caduto che si scoprirà poi essere un manuale per becchini e che conserva ancora quando arriva in Via del Paradiso come fosse la cosa più cara che ha.
La nuova vita sembra promettere bene e male in parti uguali: da una parte c'è Rosa Hubermann (Emily Watson) che si presenta come una vera aguzzina che non esita a chiamare Liesel “sporca” e “stupida” entro i primi due minuti, e dall'altra Hans (un grandissimo Geoffrey Rush che nel ruolo di simpaticone e, come vedremo, di maestro, sguazza come un pesciolino dai tempi de Il discorso del re), che invece la convince a uscire dall'auto dov'è rintanata semplicemente sorridendole e chiamandola, per scherzo, “Vostra Maestà”. Un piccolo appunto: a causa di ciò ho impiegato parecchio tempo a capire che “Via del Paradiso” era l'indirizzo reale e non un'altra sua invenzione per renderlo più invitante. Col tempo, per fortuna, anche Rosa si addolcirà e farà capire che brontola per lo più a vuoto, ma non è una cattiva persona.
Ebbene? Una storia qualunque sulla Seconda Guerra Mondiale e una ragazzina a cui piace leggere, sai che novità! E invece la novità c'è perché, come si scopre con un discreto shock poco dopo, quando arriva per la prima volta a scuola accompagnata dal vicino di casa Rudy Steiner (con cui nasce immediatamente quel tipo di amicizia a suon di “non ti sopporto, ma ti voglio bene”, e chissà che non ci sia qualcosa di più), Liesel non sa leggere. Non si sa bene perché non abbia mai imparato, ma è proprio così: la sua attrazione verso l'oggetto libro è completamente indipendente dalle parole che ci sono dentro.
Il comportamento dei compagni alla rivelazione sembra il classico episodio di bullismo (quando il termine “bullismo” ancora non si usava), ma è più significativo di quel che sembra: quando Liesel reagisce a pugni agli insulti del più cattivo di tutti, Franz Deutscher, si guadagna improvvisamente il rispetto generale. Niente di strano, direte voi. Ebbene, quello con cui la incitano a fare a botte è lo stesso identico tono con cui Franz e compari, sfrecciando per strada in bicicletta e sventolando trionfanti il giornale, annunceranno che la Germania è in guerra. Adesso è più inquietante, vero?
Dopo la memorabile figuraccia Liesel è inconsolabile, ma Hans, con pazienza, comincia a insegnarle a leggere, tra l'altro facendole confessare tra mille imbarazzi il furto del manuale, più o meno così:
«È tuo?»
[…]
«Non è sempre stato mio».
Segnatevi questo dialogo, perché tornerà con gli interessi.
Non solo Hans la guida piano piano dall'inizio alla fine del suo primo libro, ma fa di più: essendo di mestiere imbianchino, non ha problemi a rivestire i muri della cantina di un abbecedario gigante con tanto spazio vuoto perché Liesel vi possa aggiungere parole nuove.
Praticamente un idillio, eh? Sbagliato. Col suo secondo furto, Liesel salva da un pubblico rogo di libri (oh, l'atroce sofferenza! Alla futura bibliotecaria che c'è in me viene la nausea, e non solo per nobili questioni sulla libertà di stampa, ma proprio alla vista della carta in fiamme di per sé!) una copia de L'uomo invisibile di H.G. Wells, ma è notata dalla moglie del borgomastro. Quando poi dovrà consegnarle una cesta di bucato pulito e stirato, la scena è di quelle che ti fanno afferrare i braccioli fino a lasciarvi il segno per l'ansia: «E così ti piacciono i libri?». Pare la strega delle fiabe che sta per metterla in gabbia e ingrassarla fino a mangiarsela. Invece Ilsa è più una fata madrina che una strega, e ogni volta che Liesel fa le sue consegne la lascia stare per un po' nella fornitissima biblioteca del figlio Johann, morto nel conflitto mondiale precedente, perlomeno fino a quando la scopre il marito (che, sarà bene specificare, aveva fatto precedere il rogo da un discorso che a quelli dello stesso Hitler aveva poco da invidiare).
In breve tempo, insomma, le pareti-abbecedario scoppiano di parole. E qui sarà bene fermarsi e notare un particolare che mi ha dato un certo fastidio. Io capisco che il film non sia di produzione tedesca, ma per quale arcano motivo tutte le insegne e i cartelli per strada sono in tedesco e invece ogni volta che Liesel legge o scrive lo fa in inglese? Non può essere la sua lingua d'origine, a giudicare dal nome, e dubito che Hans e Ilsa siano perfettamente bilingui.
La situazione precipita quando, con uno stacco brusco, si passa dalle scene paesane a un misterioso vetro spaccato che, a sapere un po' di storia, fa capire subito dove siamo prima ancora che spunti la didascalia: è la Notte dei Cristalli. Un ragazzo ebreo, Max Vandenburg, riesce a scappare dal caos e si presenta trafelato e denutrito alla porta dei nostri eroi, che – come si intuisce presto – avevano contratto un debito con la sua famiglia quando il padre aveva salvato Hans nella Prima Guerra Mondiale. Rosa ha i suoi dubbi, ma infine accettano di ospitarlo. Anche Max si porta dietro, come la nostra eroina, un libro che “non era sempre stato suo”, un libro che parla di Hitler. Solo più avanti si vedrà chiaramente che è una copia del Mein Kampf.
Scampato a un controllo della cantina al cardiopalmo (come farà a non rivelarsi trasalendo per il rumore mentre l'agente butta giù oggetti e picchia sul soffitto, proclamandolo infine troppo basso per diventare un rifugio antiaereo, io proprio non lo so).
Arriva il Natale, e la cantina è talmente fredda che vi si possono trasportare intere secchiate di neve per farne un pupazzo e una battaglia con tutti i crismi. Max, che non ne ha mai celebrato uno, tuttavia ha un regalo per Liesel: il suo ex Mein Kampf. Dico “ex” perché il giovane, non avendo altro da fare, ha passato le giornate seduto a cancellarne ogni singola pagina con la vernice. Non si capisce cosa stia combinando finché non glielo consegna: quello che vediamo dell'operazione è una foto del Führer che sparisce sotto le pennellate. Più che un regalo pare uno sfogo. Invece è proprio un dono, il migliore che le potesse fare: un libro vuoto, dove le uniche parole sono la dedica e poi, nella prima pagina, alcune lettere ebraiche per lei indecifrabili che vogliono dire “scrivi”. E basta. Il resto sta a lei.
Nel gelido scantinato, Max si ammala a tal punto che si teme non si svegli più, ma Liesel continua imperterrita a leggergli ad alta voce libri “presi in prestito” da Ilsa entrando dalla finestra della biblioteca. Ma se un solo furto può anche passare inosservato, tanti prima o poi saranno scoperti, e così succede anche alla nostra eroina: per fortuna a sorprenderla è Rudy, che ben presto le estorce anche l'esistenza di Max. Franz a sua volta li sente discutere: non arriva in tempo a carpire il gran segreto, ma sa che qualcosa c'è e per scoprire cos'è ricorre ai pugni. Purtroppo la scena si svolge su un ponte e, nella colluttazione, il diario mascherato da Mein Kampf cade nel fiume. Rudy si espone al serio rischio di assideramento per salvarlo. Se non è affidabile ora, che altro deve fare per provarlo?
Intanto, la guerra accolta con tanta gioia dai compagni si fa sentire nei suoi aspetti peggiori: il padre di Rudy viene arruolato e più avanti il ragazzo stesso, che è un eccellente corridore, viene scelto per un addestramento speciale e – per qualche ora, non di più – vagheggia di scappare perché “vuole crescere prima di morire”. Certo che finire a giocare nei boschi a chi grida più forte il proprio odio per Hitler non è una grande idea: sono lontani da tutti e nessuno sente, grazie al cielo, ma mette tanta ansia che ci si dimentica quanto sia commovente.
C'è un nuovo sviluppo quando Hans commette un errore fatale: espone la famiglia al sospetto difendendo un vicino di casa di cui sono appena state scoperte le origini ebraiche e Max, ormai guarito, deve lasciare la casa. Poco dopo, anche il nostro capofamiglia viene coscritto, nonostante l'età: pare che Liesel, pezzo per pezzo, stia perdendo tutti. Ma “perdere” non significa “dimenticare” e la nostra eroina si mette a sua volta nei guai, urlando il nome di Max per strada quando vede un uomo che gli somiglia in una fila di ebrei destinati a un campo chissà dove.
E qui, signori, cominciano le dolenti note, perché l'ultima parte del film è una sequela di scherzi del caso talmente improbabili da far colare a picco la credibilità: prima la camionetta di Hans è coinvolta in un'esplosione che lo costringe a tornare a casa zoppo e con le orecchie malandate ma vivo, poi Via del Paradiso viene bombardata per errore e Liesel si salva solo perché si era addormentata in cantina mentre compilava il suo prezioso diario e Hans, chissà perché, aveva deciso di lasciarla lì al freddo invece di prenderla di peso e portarla a letto. Non era la stessa cantina dichiarata inefficace come rifugio da un cosiddetto esperto?
Alla vista dei suoi cari morti, Liesel sviene tra le macerie e quando si sveglia, peraltro trovandosi davanti al naso un libro di cui naturalmente si appropria senza pensarci due volte, scopre che il padre di Rudy è tornato illeso ed è disposto ad adottarla e prenderla come aiutante nel suo negozio. Tra l'altro, non per essere macabra, ma qui avrei bisogno dell'aiuto di un esperto per essere sicura della prossima affermazione: i cadaveri estratti da quel che resta di Via del Paradiso non hanno, per il poco che so, l'aspetto di persone sorprese dalle bombe. Capisco la volontà di evitare di scadere nel grottesco, che è sempre cosa buona e giusta, ma composti e pulitini come sono sembra quasi che si siano addormentati. E credetemi, io non sono il genere di persona che nei film vorrebbe sempre un po' di sangue in più, tutt'altro.
Due anni dopo, la vediamo alzare gli occhi dal lavoro al suono della campanella dell'ingresso. Indovinate un po' chi ha spinto quella porta? Non vi faccio spoiler, anzi sì: è qualcuno che i più pessimisti supponevano già finito in un forno crematorio da qualche parte.
In un finale che chiude il cerchio, il narratore-Morte ci rivela a spizzichi e bocconi che Liesel vivrà fino a novanta onorevolissimi anni, piena di figli, nipotini e soprattutto libri, dato che a giudicare dallo stato dell'appartamento è diventata scrittrice.
Insomma: uno spaccato di vita senza errori storici macroscopici (ma il periodo non è il mio forte, dovrebbero essere davvero enormi perché io me ne accorga), una protagonista adorabile con intorno un cast coi controfiocchi, ma una narrazione qui e là confusa e forse un po' troppe felici casualità, come se qualcuno fosse stato indeciso tra una conclusione senza speranza e una che invece addolcisse un po' la pillola amara della Seconda Guerra Mondiale.
Valutazione complessiva:

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