venerdì 18 aprile 2014

In sala lettura: "Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo"

Tutti a bordo della macchina del tempo!

Salve, amici! Oggi torniamo a rivolgere l'attenzione, com'è giusto in un blog che porta questo nome, a un libro.

Vi avviso fin d'ora che troverete un po' diversa dal solito questa... recensione? Riflessione? Fatico perfino io a trovare il termine giusto, perché le circostanze in cui sono venuta a sapere dell'esistenza del nostro tomo e ho deciso di leggerlo sono piuttosto eccezionali. Holden Caulfield ha un bel dire che un buon libro è quello che ti fa venir voglia di telefonare all'autore (perdonatemi se non sono le parole esatte), ma di norma aver incontrato faccia a faccia la persona dalla cui penna è uscito un libro che ti è piaciuto non è una situazione da tutti i giorni, o sbaglio?

Ebbene, per stavolta mi è capitato. Non sono di certo abbastanza in confidenza con lui da assillarlo con le telefonate-fiume che voleva Holden, ma l'ho conosciuto: Alessandro Barbero, autore (tra gli altri) di Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, che seguivo già all'interno di Superquark e alle cui lezioni, finalmente, ho assistito anche dal vivo. Inondatemi pure di domande nei commenti: la risposta è sì, è identico a quello della TV, non recita per nulla, l'entusiasmo per la storia è tutto autentico. E questo, se permettete, è un gran bel biglietto da visita per un romanzo storico. Una noticina veloce: la copia che ho letto io ha tutt'altra faccia, è un'edizione più recente di cui non sono riuscita a reperire l'immagine.

Già il titolo è di quelli che riempiono di belle speranze: sicuramente qualche topo, gatto, opossum o lemure di biblioteca si sarà accorto del richiamo a La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Sterne, e se fin dalla copertina un autore dimostra di saper citare (attenzione: citare, non copiare. Sul limite fin troppo sottile tra queste due parole ci vorrebbe un post apposito!), l'impressione che se ne ha è che sappia il fatto suo.

Apriamo il libro: sarà vera quest'impressione? Dal modo che ha di sciorinare date fin dalla prima riga si direbbe proprio che almeno gli aspetti della storia che di solito gli studenti detestano li conosca come il palmo della sua mano; eppure non è nemmeno il suo periodo storico d'elezione!

Eh, già, perché sebbene sappia muoversi un po' in tutte le epoche, basta spulciare un elenco delle sue pubblicazioni per rendersi conto che a prevalere è il Medioevo, mentre qui siamo nell'anno di grazia 1806. Non sarà mica che dovremo temere qualche scivolone in questo terreno ostile? Calma e sangue freddo, amici. Forse sarò l'ultima che può giudicare, ma non ho incontrato nulla che mi paresse fuori posto. Certo, per essere evidenti a una profana dovrebbero essere proprio erroracci macroscopici, e con quelli il Premio Strega vantato dal nostro libro non si vince...

E dunque? Un'infinita lezione di storia in salsa appena un po' romanzata, che fa sbadigliare ogni dieci righe? Ma nemmeno per sogno! Le parti un po' monotone, come vedremo, non mancano, ma anche quelle hanno un motivo ben preciso. Leggere questo libro essendo completamente a digiuno di storia è, se devo essere sincera, un'impresa impossibile, perché i riferimenti ai fatti che si studiano a scuola sono tanti e non semplici, ma a parte qualche momento di lotta all'ultimo sangue con le circostanze di questa o quella guerra, farsi prendere dall'atmosfera è fin troppo facile. Pare di essere trasportati nel passato per la ricchezza di dettagli, alcuni divertenti, altri disgustosi, ma tutti ugualmente utili a dare al racconto il giusto colore.

La parte più affascinante del leggere, e probabilmente anche dello scrivere, un romanzo storico, è avere a che fare con personaggi che agiscono, parlano e pensano in modo inevitabilmente diverso dal nostro e si scontrano ogni giorno con situazioni per noi inconcepibili. Voi riuscireste a calarvi nei panni di un tal Mr. Robert Pyle, inviato straordinario degli Stati Uniti d'America presso Sua Maestà il re di Prussia nel 1806? Il nostro autore l'ha fatto, tanto più che il libro si configura come il diario di Pyle, compilato con certosina precisione ogni santo giorno dal 13 luglio al 14 ottobre del fatidico anno, anche quando, visti gli eventi in cui resta coinvolto, non si sa bene come abbia fatto a non dimenticarsene, a non perdere il prezioso libriccino da qualche parte o anche solo a trovare una buona superficie solida su cui appoggiarsi per scrivere.

E a proposito di dimenticare, Mr. Pyle ha proprio una memoria di ferro, vista la fedeltà con cui riporta le frasi rivoltegli in una quantità di lingue diverse (grazie al cielo esiste, almeno nella mia edizione, un simpatico glossario in fondo che aiuta a dipanare la matassa del tedesco, del francese, dell'olandese, del latino e compagnia cantante!). Sorge il dubbio che forse in un autentico diario compilato sul momento non ci sarebbe spazio per dialoghi tanto particolareggiati e complessi, dato che lasciarsi sfuggire qualche parola è umano, ma la narrazione procede sui suoi bravi binari a un ritmo tale che il lettore non se ne accorge se non con il senno di poi.

Per evitare eccessivi spoiler, vi dico soltanto che nel corso dei suoi viaggi (al plurale, perché attraversare l'oceano e poi fermarsi definitivamente in una sola città europea non gli basta) incontrerà un campione umano dalla varietà veramente impressionante, dal più alto dei nobili titolati all'ultima delle... ehm, ragazze di facili costumi. Mi spiace troppo usare certe parole volgari, Lenchen mi sta simpatica e credo di aver maledetto Schill all'infinito per come deve averla trattata nel segreto della sua stanza.

Il povero Pyle viene sbalzato, con un paragone dolorosamente anacronistico, come una pallina da flipper da un ricevimento al cospetto del re a una bettola puzzolente, da un teatro all'ultima moda a un campo di battaglia (se non fosse che il prologo si svolge a distanza di anni, nel 1848, qui e là mi sarei rosicchiata le unghie a sangue per l'ansia), in una tale girandola di ambienti e avvenimenti diversi che se dovessi stilarne un elenco completo riscriverei il libro intero. Lasciate dunque che vi anticipi solo qualche chicca, come per esempio la cena a casa di un tal professor Fichte (che volete che sia? È “solo” finito sui miei libri di filosofia del liceo, dopotutto!) e l'incontro con il grande poeta Goethe, che già la quarta di copertina prometteva e che io sono stata ad aspettare fin quasi alla fine, borbottando tra me: «Okay, lo trova qui... Ah, no, allora nel prossimo posto dove andrà... No, nel prossimo ancora... Alleluia!». Più che seguire passo per passo lo svolgersi della trama, che è tutto un intreccio inestricabile della più elevata politica e della più bassa vita quotidiana, mi converrà dunque riflettere per temi.

Mr. Pyle e i viaggi. Mi credete se vi dico che ogni volta che il diario riportava una fatidica frase simile a “Il giorno tale sono partito per il talaltro posto” mi venivano le lacrime agli occhi? Le sezioni di viaggio sono quelle noiose di cui vi avevo avvertito, e non noiose per carenze stilistiche da parte dell'autore, ma proprio perché viaggiare nel 1806, oltre che essere scomodo, doveva pure far venire il latte alle ginocchia. Dove il protagonista calcola fiducioso di metterci (numero a caso) quattro giorni, state sicuri che capiterà qualcosa per fargliene impiegare otto! Una volta una malattia, una volta un pantano terribile che blocca la carrozza, un'altra non ci sono i cavalli per il cambio, un'altra ancora l'asse delle ruote si spacca in due di netto... Se non fosse che lungo la strada succede sempre qualcosa d'importante per la comprensione di quel che segue, qui e là sarei stata tentata di saltare il tragitto e seguire Pyle direttamente a destinazione, perché alla fin fine, a parte gli eventi straordinari che tengono il lettore incollato anche alle pagine peggiori, ogni racconto di spostamento si riduce a questo: descrizioni della natura del paesaggio fuori dal finestrino, cronache poco simpatiche del pessimo cibo ingurgitato in qualche locanda, irritazione per le infinite lungaggini alle frontiere e un po' di sano sesso descritto con una quantità di eufemismi e pudori (vogliamo parlare delle metafore militari secondo cui il preservativo sarebbe “l'armatura” e i bollori raffreddati vengono paragonati senza batter ciglio a polveri bagnate?). E questo ci conduce a...

Mr. Pyle e le donne. Ecco, questo è forse l'unico aspetto che mi rende il personaggio un po' antipatico. Non fraintendetemi, Mr. Pyle è un gran bel tipetto, quasi quasi mi andrebbe di conoscerlo, ma dovrei trovare un modo per premunirmi, perché se davvero avessi l'occasione di entrare magicamente tra le pagine e stringergli la mano, il mio più grande timore sarebbe di trovarmi a stringere qualcos'altro un po' più giù! Capisco che quando si legge un romanzo storico si debba far voto di sforzarsi di capire il modo di pensare degli antichi e di non indignarsi se esprimono idee che oggi ci risultano strane od offensive, ma sono rimasta colpita in negativo dall'assoluta naturalezza con cui a Pyle capita di allungare del denaro a qualche ragazza in un angolo sperduto della Germania aspettandosi in cambio che si spogli docilmente, e forse ancor più colpita dal modo in cui le donne stesse (la maggior parte di loro, almeno) non si sentono minimamente lese nella loro dignità da questo comportamento. Un conto è una Lenchen, che lo fa per mestiere, un altro è una qualunque locandiera lungo la strada di cui il nostro uomo non si preoccupa nemmeno di apprendere il nome e le cui mansioni, almeno sulla carta, non prevedono di togliersi i vestiti. Eppure basta una mancia un po' generosa perché (quasi) tutte ci stiano, chi con gioia e chi con riluttanza. Non mi resta che sospirare, stringere i denti e ripetermi che allora era così e basta. Non penso che Mr. Pyle sia dipendente dal sesso o qualcosa di simile, anche se i momenti inopportuni in cui viene colto dal desiderio sembrano confermare quella diceria secondo cui gli uomini avrebbero pensieri di quel genere ogni sette secondi. Fa solo parte di un mondo ormai estraneo. Sta di fatto che leggendo di quell'unica, benedetta volta in cui una ragazza mette in chiaro di non avere intenzione di rendergli quel tipo di servizio, la parte di me che tifava per Pyle si è rattristata, mentre la mia femminista interiore, al vederlo rifiutato, gridava: «Ben gli sta!».

Mr. Pyle e gli stranieri. A proposito di idee offensive, soffermiamoci un attimo sul rapporto che il nostro protagonista ha con gli altri popoli. Pyle ha un bell'arrabbiarsi quando sente qualcuno esprimere convinzioni assurde sui suoi Stati Uniti, che non erano ancora neanche lontanamente la potenza che sono oggi e che molta gente non sapeva nemmeno dove fossero, ma a sua volta non risparmia proprio nessuno: incrocia esponenti di tantissime nazionalità e per ciascuno ha sempre qualche parola da spendere, nel suo caro diario, su quella che crede sia la natura di quel popolo. Sotto i colpi della sua penna cadono come mosche inglesi, olandesi, tedeschi, francesi, italiani, polacchi, ebrei e – con un termine che non so quanto possa essere appropriato – afroamericani. Tutti hanno per lui qualche difetto connaturato, che riconosce infallibilmente in ognuno, come se l'eccezione fosse semplicemente impensabile, e il domestico di colore che si è portato da casa, Will, si prende a sua volta la sua brava dose di frecciate. Il loro rapporto è ancora sorprendentemente buono: la condizione giuridica di Will non è quella di schiavo e il peggio che io ricordi nei loro scambi di battute è uno “stupido negro” rivoltogli quando viene fuori che i conti non tornano e alle finanze di Pyle mancano misteriosamente dei soldi, ma certe affermazioni, ripetute in pubblico ai nostri giorni, basterebbero e avanzerebbero per guadagnargli parecchi nemici.

Per non parlare poi degli ebrei! La “disgraziata razza” (parole sue, non mie) è oggetto delle peggiori considerazioni da parte di Pyle e di parecchi altri personaggi, e c'è un passo che vale la pena di citare perché mi ha messo un brivido.

«[...] I miei compagni di studio sono già occupati a compilare liste di proscrizione in previsione del giorno in cui conquisteranno il potere: il discendente, sia pure in settimo grado, di un francese, di un ebreo o di uno slavo sarà condannato all'esilio.» «Ma queste son cose che si dicono» risposi spazientito dalla sua ingenuità; «figuratevi un po' quale governo potrebbe mai considerare sul serio dei provvedimenti come questi!»

Ora ditemi voi se, col senno di poi, non ricorda un po' troppo Hitler.

Da parte di un lettore distratto e dall'accusa troppo facile, dunque, il nostro professore con questo libro potrebbe prendersi del sessista, del razzista e fors'anche del neonazista e, non ne dubito, un sacco di altri pericolosissimi “-ista”, ma questo significherebbe commettere un grave errore di comprensione. L'immedesimazione è la chiave di tutto: quando un autore assume la maschera di un personaggio che la pensa in modo tanto diverso, bisogna stare ben attenti a tenere i due separati e a ricordare a se stessi a ogni piè sospinto che se Pyle dice una cosa, è perché la crede solo e soltanto Pyle, non certo Barbero. Dargli del razzista perché quei talleri scomparsi spingono il caro Robert a pronunciare parole politicamente scorrette significherebbe non aver capito nulla.

Insomma, seicento e passa pagine che vale la pena di affrontare se volete un libro scritto con vera cognizione di causa, ma che non consiglierei a chiunque. È onestamente il miglior romanzo storico che io abbia letto negli ultimi tempi, ma se non siete già lettori forti del genere posso quasi garantire che non vi piacerà. Se siete pratici, mettetelo nella lista “da leggere” e non ve ne pentirete, ma se non ne avete mai preso in mano uno, usate qualcosa di più leggero come introduzione a questo mondo e poi provatelo più avanti.

Valutazione complessiva: 

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