giovedì 3 aprile 2014

"Non è vero, ma ci credo"

Superstizione, sì o no?

Salve a tutti! Come va la vita? Vi sentite fortunati in questo periodo, oppure vi sembra di essere perseguitati dalla malasorte?
Qualunque sia il vostro caso, alzi la mano chi ha qualche sistema per attirarsi il favore della dea bendata o, all'inverso, tenere lontani i guai. Avanti, non c'è niente di male. Sotto sotto, credo che siano ben pochi quelli che non hanno mai, e dico proprio mai, alcun comportamento teso a far andare la vita un po' meglio. Dopotutto, chi non lo vorrebbe?

Si fa presto ad affermare con orgoglio razionalista di non essere superstiziosi, ma la verità è che per non esserlo non è sufficiente passare impuniti sotto tutte le scale che capitano e non far tragedie per uno specchio che va in pezzi. Quel pizzico quasi impercettibile di superstizione c'è anche dove non sembra. La stessa persona che, poniamo, ieri si è rifiutata di fare la scenetta del sale versato e poi gettato dietro la spalla, domani avrà un colloquio importante e puntualmente si metterà la stessa cravatta che aveva indossato l'ultima volta che gliene era andato bene uno. E non è superstizione, questa? Certo che lo è, solo una versione personale invece di una comunemente accettata! Il concetto, a ben vedere, è lo stesso: si tratta sempre di adottare una linea d'azione che si crede fermamente possa influenzare in positivo gli eventi, quando in realtà le due cose sono completamente scollegate. L'uomo, da che mondo è mondo, quando vede un effetto va a cercarne la causa; se poi azzecchi quella corretta è tutta un'altra faccenda. Prende piede la convinzione che un gatto nero che attraversa la strada porti male (quando l'unico potere nefasto del povero micio era quello, nei tempi antichi, di spaventare i cavalli di notte e far loro disarcionare qualche malcapitato viaggiatore)? Chi ne vede uno e ci crede attribuirà qualsiasi evento negativo successivo alla palla di pelo, anche se non c'entra nulla. Il primo colloquio con quella cravatta al collo va bene? La si metterà anche al secondo, quando invece la probabilità di dire qualcosa di sbagliato davanti al Megadirettore Galattico non è affatto diminuita.


Un momento, ne siamo proprio certi? Davvero i portafortuna non hanno alcun effetto? Allora perché portandoli con sé ci si sente così bene?
E proprio qui sta la sorpresa: se un oggetto o un atto scaramantico non possono avere alcuna influenza sugli altri, ne hanno eccome su di noi, e se forse col loro aiuto non saremo più fortunati nel senso che le casualità saranno tutte a nostro favore, è possibilissimo che sapremo giocare meglio le più o meno metaforiche carte che ci capitano, buone o cattive, e ci sono fior di studi che lo dimostrano.
In cinque diversi esperimenti condotti presso la Booth School of Business dell'Università di Chicago (Usa), è stato chiesto a dei volontari di tentare la fortuna in alcuni giochi dopo aver compiuto azioni scaramantiche come toccare ferro, oppure non scaramantiche come ad esempio lanciare una palla. Risultato? Chi aveva compiuto il gesto propiziatorio era meno preoccupato se la prova andava male, e già questo è un primo effetto benefico della scaramanzia. Ma non solo: gli scaramantici che avevano perso la sfida mostravano in seguito di aver dimenticato la propria malasorte e di non aver perso la sicurezza in se stessi.”*
E ancora: “In uno studio pubblicato su Psychological Science, la psicologa Lysann Damisch dell'Università di Colonia (Germania) ha dimostrato che gli amuleti migliorano realmente le prestazioni degli sportivi e li rendono più sicuri e determinati a vincere. Nell'ambito dell'esperimento, ad alcuni sportivi professionisti di discipline diverse è stato chiesto di consegnare il portafortuna inseparabile che li accompagnava in tutte le gare. […] A un gruppo di atleti, il portafortuna è stato riconsegnato prima della competizione, mentre al gruppo di confronto, con una scusa, no. Ebbene: le prestazioni degli sportivi costretti a gareggiare senza il portafortuna sono state nettamente peggiori rispetto a quelle di coloro a cui era stato restituito.”**
E dunque: la fortuna magari resta invariata, ma la sicurezza cambia, eccome se cambia, e sappiamo tutti quanto conti, specie se si è sotto pressione. Vuol forse dire che siamo tutti stupidi? Anche se fosse così facile definire le categorie di “intelligente” e “stupido” e assegnare all'una o all'altra ogni persona sulla Terra, e non lo è, quanto pensate che sia statisticamente probabile che tutti, ma proprio tutti i volontari degli esperimenti citati sopra, per un puro caso, fossero degli inguaribili idioti?
Per quanto smaliziati si possa essere, è un po' troppo sbrigativo giudicare male chiunque abbia orrore del numero diciassette (o tredici, a seconda delle culture): ricordate che quella stessa persona a cui voi, segretamente o meno, date della sciocca per aver fatto qualcosa, bollerà voi come sconsiderati per non averlo fatto.
Tutt'al più, se siete preoccupati che il vostro amico o parente o chissà chi stia permettendo alle sue credenze di controllare troppo la sua vita, provate un approccio più graduale. Invece di sbattergli in faccia un “Devi smettere di crederci perché...”, tentate con “Ma sei proprio sicuro di aver sempre rispettato il precetto? E cosa ti è successo quella volta che te ne sei dimenticato?”. Se siete i fedeli cavalieri della Signora Razionalità e di Madama Scienza, non vi sarà così difficile individuare una possibile causa alternativa, non legata alla superstizione, per i tragici racconti di malasorte che vi pioveranno addosso a questa domanda.
O altrimenti, se preferite non andare a impelagarvi in discussioni senza fine che termineranno, temo, con un gran bel nulla di fatto e lasceranno ciascuno fermo sulle proprie posizioni di prima, adottate il sanissimo principio “Vivi e lascia vivere” e lasciate che i vostri cari superstiziosi credano a quel che ritengono più opportuno. In fondo, che male fanno? Solo i casi estremi andrebbero fermati o quantomeno mitigati per il bene di tutte le persone coinvolte.
Prendiamo l'oroscopo, per esempio. Dal primo post, se qualcuno di voi l'ha letto, ricorderete che non ci credo: trovo che il tipico profilo della personalità del Toro mi descriva bene, anche se non perfettamente, e non sta a me dire se questo fosse scritto nelle stelle o se sia una coincidenza, ma non vedo perché a tutte le persone nate, come me, tra il 21 aprile e il 20 maggio, dovrebbero capitare all'incirca le stesse cose nello stesso periodo. In effetti, non ricordo una sola previsione che si sia avverata. L'elettrocardiogramma della mia vita sentimentale è rimasto piatto anche nelle settimane che promettevano meraviglie nel settore amoroso, alla faccia di tutte le presunte veggenti con le loro complicate mappe astrali.
Conoscerete, immagino, qualcuno che invece ci crede. Cerca più o meno scherzosamente di inquadrare il carattere di una persona appena conosciuta in base al segno? Lasciatelo fare: se poi costui o costei è tutto l'opposto, avrà ben modo di dimostrarlo. Si rifiuta di uscire di casa se l'astrologa di fiducia gli ha predetto un giorno sfortunato? C'è decisamente qualcosa che non va.
Ora, io capisco che avere un tot di regole da seguire possa dare sicurezza, o che una persona che si presenti dicendo di avere conoscenze o poteri superiori alla media diventi fin troppo facilmente un punto di riferimento per chi sente di averne bisogno, ma un conto è farsi aiutare a prendere una decisione da una persona che si spera che oltre alle stelle consulti anche il buonsenso, un altro è non muovere più un passo senza. Questa è di fatto una forma di dipendenza, e sono sicura che nel numero di chi si diletta di oroscopi e compagnia bella ci siano persone oneste che non abusano del potere che hanno sui clienti, ma è altrettanto vero che gli approfittatori pronti a calcare la mano per cavarne fino all'ultimo centesimo sono ovunque. Non so abbastanza di giurisprudenza da riempirmi la bocca di termini legali che definiscano per benino come si chiama questo crimine e cosa merita chi lo commette, ma non ci vuole l'Azzeccagarbugli per farsi venire in mente la parola “truffa”.
Correggiamo un po' il tiro e facciamo un esempio celebre che però con le stelle c'entra poco: Wanna Marchi e la storia del trucchetto del sale che conoscerete certamente se guardavate Striscia la Notizia nel 2001. Alle vittime, perché di vittime si tratta, veniva raccontato che quel sale (comune sale da cucina o, se preferite farvi belli coi paroloni scientifici, cloruro di sodio) aveva chissà quali proprietà tali per cui, se non si fosse sciolto in acqua, sarebbe stato un segnale che sul malcapitato incombeva il malocchio (da allontanare pagando profumatamente, chiaro!). Peccato solo che costei facesse ben attenzione a indicare quantità d'acqua studiate per non farlo sciogliere.
Ora, forse ci sarà stato qualche caso in cui il potenziale truffato aveva sufficienti nozioni di chimica per sapere che la concentrazione del sale superava il limite di solubilità, ma (senza offesa alla categoria) temo proprio che l'immortale “casalinga di Voghera” non lo sapesse e che magari, anche se aveva un amico scienziato, le fosse stato sconsigliato di parlarne ad anima viva con minacciose promesse di maledizioni (quest'ultimo dato non è certo, mi sembra solo il modo più immediato per scongiurare lo smascheramento).
Di fronte a casi simili, ahimé, non ho affermazioni da fare, ma solo domande: cosa succederà mai nel cervello di chi si lascia abbindolare fino a questo punto? Se io intraprendo qualcosa di nuovo di cui non so assolutamente nulla e la mia ignoranza mi porta a credere in perfetta buona fede alla prima informazione, anche sbagliata, che sento, è già più comprensibile, ma se qualcuno viene a contraddire qualcosa che credevo di sapere e io, nonostante le prove in senso opposto, mi fido, cosa sta succedendo in me? Il senso comune dice che un pacchetto di sale col malocchio c'entra ben poco, sempre che esista, poi arriva la Marchi, mi dice che è un metodo infallibile e io la seguo. Cosa mi ha fatto cambiare idea? Il suo modo di porsi? La paura per me e per i miei cari? Questo non lo so proprio. Continua a sembrarmi strano che il cervello umano sia così portato alla fiducia cieca in una più o meno presunta autorità.
Alziamoci un attimo dalle stalle alle stelle e tiriamo in ballo Aristotele, che anticamente veniva citato in merito a (quasi) tutto, era il pezzo da novanta che assicurava la vittoria in qualsiasi dibattito: “se Aristotele dice così, allora è proprio vero e tu che la pensi diversamente hai per forza torto”. Ebbene, il nostro filosofo aveva le sue idee anche su come fosse fatto il corpo umano, ma un medico moderno inorridirebbe a sentirle. E di questo, considerati i mezzi a sua disposizione, non possiamo certo fargli una colpa: non vuol dire che in realtà fosse un somaro, tutt'altro. Eppure la gente continuò a credere alle sue teorie anche davanti alle prove concrete dei suoi errori! Si dissezionava un cadavere e si scopriva che dentro era fatto così e così, ma finché Aristotele avesse continuato dall'alto della sua autorità a dire che era cosà, i signori dottori (non gli ultimi arrivati, dunque, non pensiamo a una massa di ignoranti) avrebbero affermato senza esitare che era cosà. Chissà, forse vedevano solo quello che si aspettavano di vedere. E finché tutto questo restava chiuso nei libroni di teoria passi, ma nel momento in cui si passava alla pratica c'era da preoccuparsi, non trovate? Voi sareste disposti a essere messi sotto i ferri da un chirurgo persuaso – poniamo – che il cervello non sia un organo poi così importante, messo lì principalmente per raffreddare il sangue?
E dunque, per il bene di tutti, se vedete che qualcuno vicino a voi si sta lasciando convincere a fare cose che vanno contro la logica comune, fate il possibile per dargli una bella scrollatina e dimostrargli che forse le cose non stanno esattamente come dice il suo guru del momento. Alla lunga vi ringrazierà.
Questo detto da colei che si piazzò sul podio di un concorso di latino indossando la “maglietta fortunata” il giorno della versione, eh. Non sono immune neanch'io al fascino del portafortuna, ma un conto è una maglietta con scritto “veni, vidi, vici” di fronte a un brano di Cesare, un conto è presentarsi in toga secondo il consiglio di una medium convintissima di aver parlato con l'autore in persona.

*Fonte: Airone, anno XXXIII – n° 395 – marzo 2014, pagg. 9-10
**Fonte: Airone, anno XXXIII – n° 395 – marzo 2014, pagg. 15-16

Nessun commento:

Posta un commento